Va in scena dal 6 al 9 marzo, al teatro Manzoni di Monza, "Il discorso del re", commedia di David Seidler. Nella parte di Lionel Logue, l'attore logopedista che insegnò a re Giorgio VI (Filippo Dini) a superare il suo problema di balbuzie, c'è Luca Barbareschi, anche regista dello spettacolo. "E' uno spettacolo emozionante e comico - die lui a Tgcom24 -, incentrato sul potere della parola, proprio oggi che troppi parlano senza sapere cosa dire".
In realtà io avevo questo testo da una decina d'anni ma era impensabile trovare un distributore intenzionato a investire su uno spettacolo che parlava di Giorgio VI. Io l'ho sempre trovato un testo molto interessante perché parlando della famiglia reale inglese racconta in realtà delle metafore bellissime sul rapporto tra il potere e un artista, il patto sociale. E' poi una bellissima storia di amicizia e al tempo stesso uno straordinario paradosso in cui si racconta come l'Europa sia cambiata grazie a un attore fallito.
In che senso?
Se questo attore non avesse insegnato a parlare a un re balbuziente forse avremmo avuto al potere il fratello che era filonazista e quindi tutto sarebbe cambiato. Ci sono comunque tre livelli di racconti interessantissimi. E' uno spettacolo molto emozionante e anche molto comico.
Come mai ha scelto la parte del logopedista e non del re?
Banalmente per una questione anagrafica, sarei stato un re fuori parte. Detto questo mi piaceva di più la parte dell'attore-logopedista, perché avendo fatto il Gattopardo mi ero già preso le mie soddisfazioni a raccontare la politica e il potere. Qui mi divertiva di più prendermi in giro, raccontare un attore fallito che vive in una sua realtà parallela che sogna di essere personaggi improbabili, come Ramon Navarro, il coprotagonista, dimenticato, di Greta Garbo in "Mata Hari". C'è molta autoironia, è un personaggio bello e molto tenero.
Lei ha detto che tutta la vicenda ricorda la necessità di usare le giuste parole da parte del potere e della stampa. Un bel contrasto rispetto alla nostra epoca...
Trovo paralleli in ciò che accade ogni giorno. In questo testo c'è la forza della parola che è il teatro: chi parla bene pensa bene. Il problema è avere dei pensieri. Ormai la gente parla tanto per dire qualcosa. I social poi sono deleteri, perché, per esempio su twitter, chiunque cavalca la notizia più importante per apparire, ma senza sapere di che sta parlando. Se poi non sei conforme a un pensiero unico vieni subito insultato.
In questo testo c'è un bellissimo gioco di parole tra reale nel senso di realtà e reale. E' molto importante perché l'uso delle parole è fondamentale e l'assunzione di responsabilità di quello che dici. In periodo di social network dove moltissimi si mettono nomi finti. Io farei una legge che obblighi all'uso del nome e cognome veri. Se insulti paghi dazio. Ma sparirebbero, perché il nostro è un Paese che spara sulla Croce Rossa.
Pubblico teatrale?
Andare in giro con questo spettacolo per me è come andare a fare delle lezioni da universitari. Il pubblico teatrale è sicuramente più colto ma ormai è fatto solo da gente dai 50 anni in su. Proprio per questa progressiva disaffezione verso la parola. E' inquietante vedere che i giovani non vanno più a teatro.
E' il sintomo della decadenza culturale del nostro Paese
Per restare a termini da Oscar, possiamo dire che siamo tutti in una grande bellezza, che la vita è bella, che siamo mediterranei. Il problema è che bisogna ridare le regole, fare in modo che giochino tutti alla pari e non solo chi è conforme al pensiero unico di sinistra, che poi di sinistra non è ma solo ridicolo. Ci vorrebbe sportività e soprattutto si ritorni alla qualità dei prodotti.
Il suo spettacolo è stato accolto positivamente da tutta la stampa, anche quella di sinistra.