Valerio Di Benedetto: "Il cinema ci aveva chiuso le porte e le abbiamo abbattute"
Parla uno dei protagonisti di "Spaghetti Story", film indipendente che, dopo essersi fatto notare in alcuni festival internazionali, sta diventando un piccolo evento nelle sale italiane
Tra kolossal stranieri, cinepanettoni e importanti produzioni italiane, c'è un film che da prima di natale a oggi è diventato un piccolo fenomeno. "Spaghetti Story" è un esempio virtuoso di cinema fatto in proprio. "Le porte dei cinema per noi erano chiuse - dice Valerio Di Benedetto, uno dei protagonisti - e noi le abbiamo abbattute. Ma non parlate di un film fatto da precari: siamo tutti professionisti preparatissimi!".
Valerio Di Benedetto: "Il cinema ci aveva chiuso le porte e le abbiamo abbattute"
Realizzato in maniera indipendente e autoprodotto, "Spaghetti Story", diretto da Ciro De Caro, si è prima fatto notare in un circuito di festival, da Mosca a Hong Kong, da San Marino a Reykjavik, per poi approdare in sala a Roma prima di natale, con l'obiettivo di rimanerci pochi giorni. La storia dei quattro giovani adulti che provano a cambiare le proprie vite invece è piaciuta tanto che il passaparola ha fatto da volano e il film è nei cinema di più città ancora oggi. "Per un film italiano è una specie di miracolo - dice Di Benedetto - soprattutto per degli indipendenti".
Nel film tu interpreti un attore disoccupato che, in attesa della giusta occasione, fa il barista. Ti ci ritrovi?
E' una fotografia di come sono un po' tutti i lavori iniziali in Italia. Soltanto da noi però questa cosa viene vista male. In America è normalissimo che un attore, tra un provino e l'altro, si mantenga facendo altri lavori. Come me ne conosco altri mille, mentre alcuni sono andati via per cercare fortuna all'estero.
La vostra è stata un'operazione di forza contro un panorama stagnante e sembra essere riuscita. Soddisfatto?
Sicuramente, anche se purtroppo il film e il suo successo sono stati utilizzati da alcuni in maniera strumentale, svilendo quelle che sono le nostre professionalità.
A cosa ti riferisci?
A tutti quelli che hanno veicolato il messaggio dei precari che hanno fatto un film. Ma noi non è che siamo degli improvvisati allo sbaraglio. Siamo attori professionisti, con anni di teatro e di scuola alle spalle. Christian Di Sante ha fatto la "Gisella Burinato", Sara Tosti il "centro sperimentale", Rossella D'Andrea il teatro Azione e io quattro anni di laboratorio teatrale, due anni di teatro azione e due anni di metodo Strasberg. Quindi il punto semmai è un altro...
Ovvero?
Il fatto che, nonostante questa preparazione, non ci sia mai stata data la possibilità di fare un film. E così noi ce la siamo presa da soli. Mi piace dire che per noi le porte del cinema erano chiuse e allora le abbiamo buttate giù. Ma non siamo dei precari che hanno avuto un'intuizione geniale, il termine precario fa molto fico ma a mio parere viene utilizzato in modo strumentale.
Qualcuno per sottolineare il concetto ha parlato di te come il "camerie-attore". Ti dà fastidio questa definizione?
Molto, perchè detto così sembra che mi abbiano visto in un bar e mi abbiano scelto. Ma il problema non è che io abbia fatto o possa fare in un futuro il cameriere, il problema sarebbe se perdessi di vista l'obiettivo, che è quello di fare l'attore nella vita. Ma certe cose non te le fanno dire, perché qualcuno che ha la determinazione, il coraggio di fare e andare avanti, non si adatta bene all'immagine del Paese che vogliono presentare. Meglio pensare che siamo tutti bamboccioni.
Il film è costato 15mila euro e finora ne ha portati a casa 60mila, mica male come rapporto tra costi e ricavi...
Assolutamente, ma va sottolineato che non si può pensare che i film si possano realizzare sempre con questi tipi di budget. Questa è una scelta che abbiamo fatto noi ed è un rischio che ci siamo presi con coscienza, ma i film devbono essere realizzati con budget adeguati e le persone vanno pagate, perché questo è un lavoro.
Temi che il successo di un esperimento di questo tipo possa rivelarsi un boomerang?
Con il fatto che c'è la crisi e non ci sono soldi, non vorrei che questo esempio venisse preso come scusa per non pagare le persone. Un conto è se ce lo facciamo noi in casa e poi otteniamo successo per una serie di motivi. Un altro è se certi discorsi li fa una major, che comunque i soldi li ha.
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