Quella del San Raffaele è una storia di buona ricerca. Non è l'unica in Italia, grazie al cielo, anzi ce ne sono molte altre. Ma è un ottimo esempio. E' la rappresentazione ideale di una istituzione seria, con ricercatori seri e preparati che sanno qual è la strada per vedere il proprio lavoro riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, quali sono i passi da compiere per trasformare un lavoro teorico in sperimentazione e poi, si spera, in terapia che sia davvero utile ai malati. Il primo passo, lo sanno tutti, in tutte le Università in giro per il mondo, è rendere nota la ricerca attraverso la pubblicazione sulle riviste internazionali specializzate: sottoporre un lavoro al giudizio di un pool di esperti agguerriti e severissimi per vedere poi rese note le proprie ricerche, accumulare molte di queste pubblicazioni, e raggiungere la credibilità necessaria.
Una strada che non è stata seguita da altri tipi di ricerca, che in questi giorni – e in passato - hanno fatto molto clamore. Con medici e ricercatori che non vogliono sottoporsi a questo “tribunale” scientifico riconosciuto invece da tutta la comunità di ricerca internazionale, e che pretendono la credibilità senza essersela meritata in un modo che potremmo dire universale. E che ad altri tribunali si rivolgono, a giudici che pretendono la “par condicio” scientifica ( aberrazione in termini: in tutte le discipline scientifiche una cosa è o non è, non esistono pareri ma numeri, verifiche, grafici, esperimenti ripetibili). Lungi da noi dire che il metodo Stamina (a questo ci stiamo riferendo) non sia efficace. Ma bisogna provarlo non a sensazioni ma con prove scientifiche riconosciute, mettendo le carte in tavola e sottoponendosi al giudizio delle riviste specializzate. Questa è l'unica strada seria.
COMMENTA SU tgcom24