Caputo: "Rifaccio Un sabato italiano per farlo durare altri trent'anni"
Il cantautore celebra il suo disco più famoso rifacendolo in chiave jazz e portandolo in giro con un tour teatrale. E racconta quegli anni in un libro autobiografico
"Un sabato italiano" compie 30 anni. Con le canzoni di quell'album Sergio Caputo ha raggiunto il successo e segnato gli anni 80. Ora le celebra con un'operazione ad ampio raggio: un cd dove rivisita il lavoro originale in chiave jazz, un tour teatrale e un libro nel quale racconta le storie vere che ispirarono quelle canzoni. "In quegli anni la musica di qualità aveva più spazio - dice a Tgcom24 -, per questo molte canzoni sono durate nel tempo".
"Rolling Stone" lo ha inserito nella lista dei 100 dischi italiani più belli di sempre, e la title track è una di quelle canzoni che, non solo non possono mancare in qualsiasi compilation che si rispetti di quegli anni, ma che è comunque rimasta sempre attuale perché passata ciclicamente o dalle radio o utilizzata in tv. Trent'anni di longevità in musica sono un bel traguardo e per Sergio Caputo valeva la pensa celebrarli in maniera importante. Così non solo ha deciso di rifare l'album originale aggiornandolo al gusto musicale di oggi, ma ha anche scritto un libro che racconta quel periodo e ora parte per un tour teatrale che toccherà le principali città italiane.
Partiamo dal disco: perché rifarlo considerato che la gente lo ama tanto nella sua versione originale?
Il problema è che quello è un album molto ancorato agli anni 80 e alle loro sonorità. E' zeppo di effettacci, sintetizzatori che facevano i fiati finti, tutta roba molto di moda allora ma improponibile oggi. Così mi sono tolto lo sfizio di riappropriarmi di quel lavoro, rifacendolo in chiave jazz, che è poi quella che è la chiave classica grazie alla quale per cinquant'anni le cose possono essere riascoltate senza grossi disturbi.
Un successo così importante ti ha pesato in qualche modo?
il problema dell'artista che viene conosciuto e connotato con una certa opera è un grande classico. Ammetto che in una fase della mia carriera mi ha un po' infastidito, più che altro perché avvertivo una disattenzione nei confronti delle cose nuove e più creative che ho fatto in seguito.
Come sei riuscito a venire a patti con questo lavoro così "ingombrante"?
Ho capito che quelle canzoni erano comunque mie ed erano importanti per molta gente. E' comunque un album che dopo tanto tempo è ancora una parte integrante del mio repertorio ed è fondamentale per come il pubblico percepisce me e il mio personaggio. Però ho sentito l'esigenza di renderlo di nuovo mio.
Al punto da raccontare in un libro le storie vere che lo hanno ispirato?
Sì, quella è stata un'operazione che può essere interessante per il lettore, ma è stata molto utile per la mia vita. Erano tutti ricordi che erano come scatola di fotografie raccolte alla rinfusa, e che ora ho potuto mettere in ordine. Prima di oggi non mi ero mai fermato a pensare su chi fossi e perché facessi certe cose.
Prima ancora che la storia delle canzoni la gente ci troverà la tua storia personale?
C'è dentro tutto, senza censure o reticenze. Ho messo dentro la mia vita, il mio mondo, i luoghi, gli amori, ma anche situazioni difficili, come la droga, i conflitti interiori, un problema con il militare del quale non avevo mai parlato. Ne è uscita una storia che si legge come un romanzo ma che in realtà è completamente vera.
Immagino che a quel tempo, con il successo improvviso, fosse come essere in un frullatore, senza tempo per fermarsi a pensare...
Im realtà io ho provato a resistere al frullatore, al punto che non avevo lasciato il mio lavoro di art director di una agenzia pubblicitaria. Quando il mio produttore mi fece notare che era tempo di pensare a un altro album perché c'era un contratto che lo prevedeva, rimasi stupito. Di fatto ho capito che il mio lavoro era nella musica nel 1985, dopo tre album, quando mi spinsero a fare un tour e dovetti abbandonare il mondo della pubblicità.
Cosa avevano di speciale gli anni 80 che ha fatto sì che molte canzoni italiane restassero popolari fino a oggi?
Temo che sulle difficoltà odierne una buona responsabilità sia dei media. Perché in passato davano molto più spazio alla musica. Era come avere una sala molto grande, dove entravano molte persone. E quindi c'era spazio anche per chi faceva musica non esattamente commerciale. Ora lo stanzone si è ristretto e quindi per entrarci si fa di tutto per catturare l'attenzione. Ma in questo modo si creano fenomeni di passaggi, che sul lungo periodo non durano.
LE DATE DEL TOUR "Un sabato italiano show"
13/12 Monte San Savino (AR) Teatro Verdi
16/12 Milano Teatro Nuovo debutto Nazionale
18/12 Roma Auditorium Parco della Musica – Sala Sinopoli
19/12 Salerno Modo
20/12 Napoli Palapartenope
21/12 Bari Teatro Forma
24/01 Padova Teatro Geox
25/01 Torino Teatro Colosseo
31/01 Firenze Teatro Obihall
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