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Giuda: "Alla conquista del mondo con un rock senza compromessi"

Loro sono romani ma sono diventati una band di cult soprattutto all'estero, negli Usa e in Inghilterra. Ora pubblicano il nuovo album "Let's Do It Again"

Ufficio stampa

Si intitola "Let's Do It Again" il nuovo album dei Giuda, band romana dedicata al rock and roll anni 70 che ha trovato il successo soprattutto all'estero. Con il loro secondo lavoro puntano ad ampliare la loro notorietà anche tra le mura di casa. "Cantando in inglese trovare spazio nelle nostre radio è più complicato - dice Lorenzo Moretti a Tgcom24 -, ma noi portiamo avanti la nostra musica senza compromessi".

Con testi in inglese e influenze saldamente affondate negli anni 70, nel glam e nei gruppi antesignani del punk come Slade, T-Rex, Slaughter And The Dogs, i Giuda si sono fatti un nome e strada principalmente all'estero, vendendo 10mila copie del loro album di debutto, "Racey Roller", ma soprattutto collezionando tour da tutto esaurito negli Stati Uniti e in Inghilterra. Una volta tanto il detto nemo propheta in patria torna d'attualità, anche se per i Giuda è stato quasi un caso. "Ci siamo rivolti al mercato estero semplicemente perché la nostra prima etichetta era americana - spiega Moretti -. Comunque in Italia ci hanno sempre trattato abbastanza bene e sono uscite molte recensioni fantastiche. Per è indubbio che fuori ci apprezzino molto: siamo stati due volte in tour negli Stati Uniti, e poi in Francia, Germania, Inghilterra più volte...".

Avete scelto un'etichetta straniera perché quelle italiane non vi hanno dato opportunità?
In realtà noi eravamo in contatto con la Deat Beat Records già dalla fine degli anni 90, perché suonavamo in un altro gruppo, in una band punk rock chiamata Taxi e quella era lo nostra etichetta. Quando abbiamo registrato il primo materiale con i Giuda è stato naturale rivolgerci subito a loro, ma dietro non c'era una precisa strategia per puntare al mercato straniero.

Stilisticamente guardate indietro di quasi 40 anni...
Può sembrare una cosa calcolata perché non c'erano e non ci sono molti gruppi che propongono quel tipo di sound. Noi siamo cresciuti ascoltando punk rock ma con gli anni un po' i gusti sono cambiati. Crescendo ci siamo ammorbiditi e siamo tornati alle radici di quello che ha contribuito alla nascita del movimento punk. Le nostre influenze sono molte e varie ma nella nostra musica c'è molto del nostro, non ci sentiamo il clone di nessuna band.

Il cantare in inglese vi ha chiuso le porte delle nostre radio?
Il fatto di cantare in inglese facilita le cose all'estero ma in Italia sicuramente è più complicato perché in radio solitamente vanno le cose cantante in italiano. Noi comunque non abbiamo fatto calcoli, portando avanti la nostra musica da sempre senza compromessi. Suonando rock and roll l'inglese ci è sembrata la scelta più logica e adatta.

Come avete scelto il vostro nome? 
Il nome Giuda rimane impresso, è facile da ricordare e ci piaceva come suono. Non ci sono retropensieri o significati particolari. All'estero lo pronunciano in tutti i modi possibili ma va bene così.

Dopo il successo del primo album registrare "Let's Do It Again" è stato più complicato?
Sicuramente c'era una aspettativa maggiore e quindi sentivamo della pressione perché non volevamo deludere il nostro pubblico. Ma d'altra parte è stato molto più semplice registrarlo. Questa volta avevamo le idee molto più chiare, siamo entrati in studio sapendo cosa volevamo fare e in sei mesi abbiamo realizzato l'album. Per "Racey Roller" è come se fossimo andati a scuola, come se avessimo studiato per arrivare a quel tipo di sound, perché comunque per noi era una cosa inedita.

Un sound che cercate di ottenere utilizzando strumentazione rigorosamente vintage... 
Per ottenere certi risultati è fondamentale. Intanto il disco deve essere registrato su nastro e non in digitale, ma soprattutto servono degli amplificatori o una strumentazione che possa riproporre quel tipo di suono. Non abbiamo i classici Marshall o Fender. Abbiamo sperimentato un pochino prendendo vecchi amplificatori italiani, modificandoli un po' per ottenere il sound tipico degli anni 70.

Con un atteggiamento così "classico" come vi trovate nella discografia moderna, che oltretutto non se la passa nemmeno bene...? 
Noi andiamo dritti per la nostra strada. Proponiamo i nostri dischi in vinile, sia 45 giri che 12 pollici, anche in questo periodo che il digitale la fa da padrone. Eppure noi abbiamo venduto quasi 10mila copie dell'album precedente e quasi 7mila erano in vinile. Il ritorno del vinile per noi è stato una manna dal cielo.

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