La crisi morde e il lavoro manca. Sono sempre di più gli italiani che decidono allora di trasferirsi all'estero e di tentare lì la sorte. L'approfondimento di oggi è dedicato a loro. Leggi anche gli altri articoli dello speciale Sos Lavoro sugli errori di chi si propone per una posizione, le potenzialità del web, il mondo della pubblica amministrazione, la giungla degli stage, l'importanza di fare cv e colloquio perfetti, i contratti esistenti, il mondo degli autonomi, gli effetti della riforma Fornero e le regole del licenziamento.
Paolo non ha la valigia di cartone o il cesto di vimini in spalla, né il fazzoletto legato in testa. Ma uno zaino con pc e iPhone, una laurea in scienze delle comunicazioni e un master in giornalismo in tasca. È uno dei 132 mila italiani che nel 2013 si sono trasferiti in terra straniera, passaporto in mano, buona volontà nelle braccia e tanta speranza nel cuore.
Ha 28 anni e un mese fa ha lasciato Salerno per Melbourne. Dopo la sua ultima esperienza a Firenze presso l'ufficio stampa dell’azienda americana GE Oil e Gas ha deciso di spezzare la catena infinita degli stage e di riprendere la sua vita in mano: “Il lavoro non mi soddisfaceva - racconta - a un certo punto mi sembrava di non imparare granché, così per la prima volta ho dato le dimissioni. Sì, le dimissioni da stagista: mi viene da sorridere, ma è così. Non ce la facevo più: dopo i tirocini in Italia, lo stage in Germania presso Trivago e un altro stage alla Rai di New York, ero stato costretto a tornare nella mia città, a casa dei miei genitori, in attesa di trovare un'altra occupazione che quasi sempre si rivelava essere un altro stage. Ero stufo delle opportunità soltanto precarie che trovavo (spesso per niente retribuite e senza alcuno sbocco futuro), e delle collaborazioni pagate con mesi di ritardo. Ormai è un mese che vivo qui con un visto vacanza-lavoro di 12 mesi”.
Pensa di restare a Melbourne almeno un anno, di sicuro fino al prossimo febbraio quando si terrà il concerto australiano di Bruce Springsteen: “Da sempre la sua musica mi ha aiutato a non perdere la speranza e a non fermarmi mai, reagendo a ogni colpo basso della vita. Come canta il Boss, siamo nati per correre, we were Born to Run. Proprio quello che sto facendo qui tra alti e bassi”.
Gli "alti" sono la possibilità di una collaborazione giornalistica che sta prendendo forma in questi giorni e sulla quale per scaramanzia Paolo non anticipa niente, e i "bassi" sono le serate come lavapiatti in un ristorante italiano, circa 20-25 ore alla settimana. “Se penso che così riesco a ripagarmi tutte le spese e mettermi qualcosina da parte mi viene lo sconforto: in Italia per uno stage full-time, 40 ore alla settimana, prendevo di meno che facendo il lavapiatti in Australia”.
Tutto entra nel blog aperto prima di partire, C'era una volta in Australia, e nella pagina Facebook. Sono gli spazi dove Paolo racconta ogni giorno la sua avventura dall'altra parte del mondo, con foto, video e un suo diario personale. Sorprese incluse: “Pochi giorni fa, a un mese esatto dal mio arrivo a Melbourne, per la prima volta ho visto dei canguri, fuori dalla città. Quando hanno ricambiato il mio sguardo impauriti e incuriositi al tempo stesso, ho provato un’emozione incredibile. Per la prima volta ho realizzato di essere in Australia. Ho un anno di tempo, e non voglio sprecare nemmeno un minuto: la mia corsa è appena cominciata.”
I numeri della nuova emigrazione italiana Paolo Massa non è il solito ad aver abbandonato la terra natia ormai inaridita e ingrata. Secondo l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire) del Ministero dell’Interno, al 1° gennaio 2013 i cittadini italiani residenti fuori dai confini nazionali sono 4.341.156, vale a dire il 7,3 per cento dei circa 60 milioni di cittadini che abitano nella Penisola.
Solo nell’anno in corso, gli italiani che si sono iscritti all’Aire sono stati 132.179, sicuramente meno di quelli che hanno messo su casa ma non hanno ancora formalizzato il “trasloco”. Ma se si allarga la panoramica agli oriundi, l’Italia fuori dall’Italia è ancora più popolosa: sono quasi 80 milioni i discendenti da genitori o antenati italiani residenti soprattutto in Brasile (25 milioni), Argentina (24 milioni), Stati Uniti (18 milioni), Francia (4 milioni), Canada (1 milione e mezzo), Uruguay (1 milione e mezzo).
Il 54,5 per cento di loro si trova in Europa, il 40,1 per cento in America, il resto in Oceania (3,1 per cento), Africa (1,3 per cento) e Asia (1 per cento). Un caso a sé è costituito dalla Cina che ha registrato un costante trend di crescita negli ultimi sette anni. La popolazione italiana residente nel 2013 (oggi 6700 persone) è più che triplicata rispetto al 2006 (+ 239 per cento).
Il 58,2 per cento degli italiani residenti all’estero all’inizio del 2013 è partito dal Meridione, il 32 per cento dal Nord e il 15 per cento dal Centro.
Clicca sulla cartina per ingrandirla e scoprire dove abitano gli oriundi italiani.
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La crisi come occasione per cambiare vita C’è chi la via dell’espatrio l’ha presa in tempi non sospetti. Aldo Mencaraglia è partito per la prima volta a 19 anni per studiare in un'università inglese. Finiti gli studi è rimasto in Inghilterra a lavorare per dieci anni. Poi ha passato un anno a cavallo tra Cina e Taiwan e nel 2002 si è trasferito con la moglie in Australia.
Oggi dispensa consigli a quanti vogliono compiere la “follia” di mollare tutto e ricominciare a migliaia di chilometri di distanza dalle proprie origini. È infatti, autore del volume “È facile cambiare vita se sai come farlo. Guida pratica anticrisi per trovare lavoro all’estero.Ora” (Bur Rizzoli), libro nato dopo il blog “Italiansinfuga.com”, punto di ritrovo obbligato per quanti stanno preparando la valigia.
I motivi che fanno fuggire i connazionali - spiega Mencaraglia - sono essenzialmente tre: “Mancanza di lavoro, mancanza di opportunità, scatole piene del sistema Italia”.
“Con la crisi - racconta - l’emigrazione è diventata più un’emigrazione di disperazione che un’emigrazione di ambizione. Prima della crisi si emigrava più per realizzare i propri sogni e per curiosità personale. Adesso prende in considerazione l’estero anche chi non necessariamente vuole partire ma non ha altra prospettiva”.
Quali lavori vanno a svolgere gli italiani che si trasferiscono? “Un po’ di tutto. I più fortunati riescono a fare il lavoro per il quale hanno studiato, che facevano in Italia o al quale ambiscono. Altri (come ha fatto il sottoscritto 20 anni fa) si adattano e fanno altri lavoretti diversi mentre cercano qualcosa di più congeniale. In quest’ultimo caso la concorrenza diventa acerrima a causa della crisi e del gran numero di disoccupati alla ricerca di un lavoro”.
Come si sceglie il paese adottivo? “Alcuni seguono la moda del momento. Anni fa era Barcellona, ieri Londra, oggi Berlino. Altri in base alla conoscenza della lingua straniera ed è per questo che tanti vanno in Inghilterra essendo l’inglese la lingua straniera più conosciuta dagli italiani. Altri ancora seguono l’economia che tira quindi scelgono la Germania. Altri per amore (ce ne sono tanti/e). Altri vogliono andare il più lontano possibile dall’Italia e quindi optano per Australia o Nuova Zelanda. Alcuni cercano Paesi con una cultura diversa da quella italiana e allora si dirigono verso i Paesi del Nord Europa. Un altro criterio è quello climatico”.
Gli italiani all’estero sono di solito più gratificati? “Per alcuni aspetti sì quando incontrano opportunità che in Italia non avrebbero trovato dal punto di vista lavorativo. La lontananza dalla famiglia e dagli affetti a volte tempera molto questa gratificazione. In alcuni casi rimane l’astio verso l’Italia per averli “costretti” a emigrare”.
La vita dell’italiano all’estero non è quindi tutta rose e fiori. Quali le difficoltà più gravi? “La solitudine soprattutto agli inizi. Spesso una paga inferiore agli “indigeni” per lo stesso lavoro. Ancora: l’essere trattato da ‘straniero’ anche dopo decenni dal trasferimento. La nostalgia quando si è molto attaccati alla propria famiglia, amici, terra natale. Infine le battute e gli sfottò sui politici italiani da parte dei colleghi stranieri”.
Chi dice addio all’Italia non fa mai retromarcia? “In tanti tornano (impossibile dire quanti) perché scoprono che l’Italia, in fondo in fondo, non è così male; non trovano lavoro, hanno nostalgia e non riescono ad ambientarsi, magari perché il clima è troppo buio e freddo”.
Quanto tempo serve a trovare casa e lavoro? Quanto ad ambientarsi? “Per la casa è relativamente più semplice ma possono volerci anche settimane ed i primi tempi si cambierà spesso abitazione. Il lavoro può richiedere alcuni giorni come alcuni mesi e quindi bisogna essere finanziariamente pronti a tempi duri. A volte il lavoro che si trova non fa al caso nostro oppure non permette di raggiungere il tenore di vita desiderato. In questo caso iniziano i dubbi e si pensa al ritorno. L’integrazione invece, è soggettiva, dipende dalla flessibilità e dallo spirito di adattamento. Ci sono emigranti di vecchia data (non solo italiani) che ancora non parlano la lingua del posto”.
Quanto costa emigrare? “A seconda della destinazione il trasferimento può costare poche migliaia di euro se, ad esempio, si parte verso una destinazione europea con un aereo low-cost e si trova un lavoro presto. Ma può costare molte migliaia di euro se si cambia continente, se bisogna fare domanda per un visto e se il costo va moltiplicato per numero membri di un nucleo familiare”.
Le aziende straniere a caccia di talenti italiani
Se tanti italiani decidono di partire è anche perché tante aziende decidono di assumerli, di concedere loro quella possibilità che a casa non è mai arrivata. Trivago è uno dei più grandi motori di ricerca prezzi hotel al mondo. Ha sede in Germania, a Düsseldorf, e sin dalla fondazione ha deciso di scegliere dipendenti stranieri, italiani inclusi: “I dipendenti giovani - dicono dal quartier generale tedesco - sono di solito molto aperti e mostrano la voglia di cambiare le cose. Ecco perché siamo sempre alla ricerca di giovani da tutto il mondo”.
Per quali mansioni li cercate? “Dipende dalle nostre esigenze attuali. Quando per esempio abbiamo bisogno di un supporto per il Dipartimento Comunicazione, cerchiamo un esperto in pubbliche relazioni. Quando ci serve un curatore di testi in italiano, cerchiamo quel tipo di profilo. Mettiamo online le nostre offerte di lavoro”.
Quali titoli di studio o esperienze richiedete? “Dipende dal reparto e dal tipo di contratto di assunzione (stage, tirocinio, lavoro studenti, tempo pieno). Ma soprattutto siamo alla ricerca di ragazzi che studiano comunicazione, Business Administration e materie analoghe”.
Cosa cercate nei loro cv? “Trattiamo tutti i CV pervenuti allo stesso modo. Quindi noi non selezioniamo le candidature italiane con criteri diversi rispetto agli altri CV. Per noi è importante notare che il candidato ha speso tempo e fatica nel compilare la sua domanda. Le informazioni sulle precedenti esperienze di lavoro pertinenti (inclusa una breve lista di compiti / responsabilità) è sempre considerata un plus”.
Cosa invece non va bene nei Cv del ragazzo italiano medio o nelle lettere di presentazione? “La maggior parte dei candidati italiani usa soltanto il modello di curriculum standard, l’Europass, che non è per niente professionale. Meglio distinguersi. In altri casi, alcuni italiani hanno problemi ad aggiungere le informazioni pertinenti alla loro candidatura. Mettono quindi o troppe informazioni o troppo poche”.
Quanti italiani assumente ogni anno? “Dipende. L'anno scorso abbiamo assunto 13 persone dall’Italia”.
Quanto dura in media l'esperienza di lavoro di un italiano presso la vostra società? “Di solito tra i 6 mesi e i 2 anni”.
In sede di colloquio chiedete agli italiani perché sono disponibili a lavorare all'estero? “Quando si candidano per una posizione, sono disposti a trasferirsi all'estero e quindi noi ci concentriamo di più sulle loro esperienze, piuttosto che sulla motivazione al trasferimento. Di solito si spostano per motivi personali (il ragazzo / ragazza vive in Germania) o perché vogliono avere un'esperienza internazionale di lavoro”.
A raccontarci com'è lavorare per Trivago è ancora Paolo Massa che ha lavorato per loro per sei mesi: "Quella a Trivago è stata una bella esperienza in mezzo a tanti ragazzi e ragazze da mezzo mondo: sembrava quasi come un Erasmus in azienda. Rispetto agli stage italiani era molto meglio, anche se con retribuzioni non adeguate al costo della vita tedesca. Alla fine non mi hanno rinnovato il contratto, però devo ringraziarli per l'opportunità che ho avuto di lavorare per la prima volta in un ufficio stampa. In Germania ho notato che spesso gli stage sono la prassi, dove i cosiddetti mini jobs la fanno da padrone. Lasciano andare uno stagista e ne prendono un altro, aziende che riescono a campare soprattutto grazie al lavoro di studenti che lavorano part-time con retribuzioni secondo me non adeguate".
E alla ricerca di un'opportunità più duratura e fortunata Paolo è sbarcato in Australia: "A volte mi deprimo se ci penso, però a volte vedo anche il bicchiere mezzo pieno e penso che i giovani costretti ad emigrare hanno la possibilità di vivere una vita più piena di incontri ed esperienze rispetto a quella, spesso provinciale e claustrofobica, della nostra Italietta. A volte mi sento come i nostri nonni che emigravano nell’800 dopo più di un mese di nave, anche se mi rendo contro di essere un privilegiato oggi a poter raggiungere l'altra parte del mondo in sole 21 ore di volo. Se non hai nulla da perdere, fare i bagagli e partire è l'unica cosa da fare. È una scelta estrema, il posto più lontano che ci sia da Roma, ma leggere le esperienze di tanti ragazzi e ragazze italiane nella mia stessa situazione mi ha dato la forza e il coraggio di partire con un biglietto di sola andata".