L'approfondimento di oggi è dedicato agli effetti della riforma Fornero: un grande flop o solo troppo blanda? Leggi anche gli altri articoli dello speciale dedicati agli errori di chi si propone per una posizione, alle potenzialità del web, al mondo della pubblica amministrazione, alla giungla degli stage, all'importanza di fare cv e colloquio perfetti, ai contratti esistenti e al mondo degli autonomi.
Uno dei lasciti più duraturi e contestati del governo Monti è la riforma del lavoro che dell’allora ministro Elsa Fornero porta la firma. A più di un anno dall’entrata in vigore della legge del 28 giugno 2012 numero 92 (consulta qui il testo completo) Tgcom24 ne riepiloga le novità principali e passa al vaglio gli effetti di quella norma con l’aiuto della Cisl, del senatore Maurizio Sacconi (PdL) e della stessa professoressa Fornero.
Le principali novità Apprendistato - Non può durare meno di sei mesi e i datori di lavoro sono tenuti ad assumere almeno il 50 per cento degli apprendisti avuti in 36 mesi. Fino al 2015 la percentuale scende però, al 30 per cento.
Articolo 18 sul licenziamento - Quando si è licenziati per motivi economici non è previsto il reintegro automatico. Si ottiene sempre il risarcimento con un minimo di 15 e un massimo di 27 mensilità, ma il reintegro sul posto di lavoro è deciso di volta in volta dal giudice.
Co.Co.Pro. - Il salario va calcolato sulla media dei contratti collettivi e il contratto deve specificare in maniera precisa e obbligatoria il progetto che il lavoratore è chiamato a svolgere.
Lavoro a tempo determinato - Questa forma può avere una durata massima di 36 mesi ed è più caro per il datore di lavoro visto che prevede un’aliquota aggiuntiva pari all'1,4 per cento per finanziare l’ASPI, i nuovi ammortizzatori sociali. Non è obbligatorio specificare la causale nel caso del primo contratto che può durare al massimo 12 mesi. Tra la fine di un contratto e l’inizio del successivi devono passare almeno 90 giorni (prima erano 20) se il contratto durava più di sei mesi, oppure 60 giorni (prima erano 10) se il contratto durava meno di sei mesi. Nel computo dei 36 mesi oltre i quali non è più possibile assumere con contratto a tempo determinato rientrano anche i periodi di attività prestata attraverso la somministrazione.
Partite Iva - Caccia a quelle false. Vengono considerate vere quelle che superano i 18mila euro l'anno. Invece vengono messe al bando quelle che soddisfano due delle seguenti condizioni: durata superiore a otto mesi l'anno per due anni consecutivi; compenso oltre l'80 per cento dei corrispettivi per due anni consecutivi; postazione di lavoro presso una delle sedi del committente.
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Le valutazioni sugli effetti
A più di un anno dall’entrata in vigore di quella legge, però, non si è placato l’eco delle proteste e delle critiche. Lo stessa ex ministro Elsa Fornero ammette a Tgcom24: “Col senno di poi - e se mi trovassi a lavorare soltanto con un gruppo di esperti - potrei dire che cambierei la riforma, rendendo meno complessa la regolamentazione. Ricordo, però, che quella legge fu fatta con la firma di tutte le forze sociali (salvo la Cgil) e poi fu approvata dal Parlamento e che si tende sempre a dimenticare che le riforme, in democrazia, sono il prodotto non di un singolo ministro, ma di tanti".
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Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro e presidente della commissione lavoro del Senato, commenta così il decreto Fornero: “È stata una riforma disastrosa che potremmo definire prociclica come lo fu la legge Biagi che accelerò gli effetti positivi di una stagione di crescita moderata. La legge Fornero, invece, ha ampliato gli effetti negativi di una stagione di decrescita. La legge sbagliata nel momento sbagliato. Ed era evidente che sarebbe stata così. Io non la votai. Fu il prodotto di un autismo politico, tutte le organizzazioni di impresa la criticarono e dissero che avrebbe rattrappito la propensione ad assumere. Tutti i punti di quella legge erano depressivi: ha reso più complessa la gestione delle varie tipologie contrattuali, ha complicato l’apprendistato, ha aumentato il costo del lavoro, ha evocato la minaccia ispettiva e quindi inibito la propensione ad assumere o a confermare i rapporti di lavoro esistenti”.
Cosa servirebbe allora per rilanciare il lavoro? Sacconi è piuttosto drastico al riguardo: “Cancelliamo subito la legge Fornero e facciamo rivivere la legge Biagi che funzionava benissimo. Il fallimento della riforma Fornero è stato la controprova dell’efficacia della norme preesistente. Aveva solo bisogno di una evoluzione verso quel testo unico che chiamavamo “Statuto dei lavori”, a sostituzione di quello "Statuto dei lavoratori" prodotto nel 1970 che riuniva quanto prodotto da leggi e contratti negli anni Cinquanta e Sessanta. Il mondo da allora è completamente cambiato. Oggi serve uno Statuto dei lavori con poche norme universali che discendano dai principi comunitari e costituzionali e per il resto rinvii alla contrattazione. È un percorso opposto a quello della Fornero, legge ottusa, ottocentesca, di sinistra”.
A Sacconi la diretta interessata, la professoressa Elsa Fornero, replica così: “Ha forse ragione quando dice che la complessità del mondo del lavoro andrebbe diminuita. Lascio a lui la valutazione critica. Posso soltanto dire che se considerasse, certo con minore provincialismo, i giudizi che vengono dalle istituzioni internazionali, che considerano la riforma "un buon passo nella giusta direzione" forse si esprimerebbe in modo diverso, se non altro più cauto. La riforma Biagi aveva ottime intenzioni, come d'altronde la nostra, ma l’applicazione che ne è stata fatta era agli antipodi rispetto a quanto il professor Biagi aveva in mente: l’applicazione produceva bassa produttività e diffusa illegalità. Lo spirito era condivisibile, meno la messa in pratica”.
Ma in che modo i lavoratori sono stati danneggiati dalla legge Fornero? Dalla Cisl di Milano dicono che “è stato un errore ritenere che, eliminando una serie di vincoli alla stabilità del lavoro (l’articolo 18 in primis), si creassero nuovi posti. La realtà dei fatti è stata un’altra: a un anno dall’entrata in vigore la disoccupazione è salita invece che scendere”. A questa critica Fornero risponde così: “Direi che quest’opinione nasce da una incomprensione di fondo su ciò che una riforma del mercato del lavoro può realizzare. La politica non è in grado di aumentare la domanda di beni e quindi di aumentare, attraverso questa misura, la domanda di lavoro. Tra l’altro osservo che la Cisl era d’accordo con la riforma. Non ho mai pensato che la riforma del mercato fosse fatta per creare, nel breve termine e in un momento di depressione, nuovo lavoro, ma per indurre buoni comportamenti nel mercato, favorire l'investimento in capitale umano e maggiore cooperazione tra lavoratori e datori di lavoro, anche rendendo l’impiego un po’ meno precario e un po’ più produttivo. I nuovi posti nascono da un ambiente macroeconomico sano. Ma il governo Monti non poteva dare sostegno alla domanda per eccessivi vincoli di tipo finanziario: li abbiamo rispettati portando il paese fuori dalla procedura di infrazione europea e se oggi si può parlare di ridurre il costo del lavoro è perché noi abbiamo ottenuto quel risultato”.
Sulla disoccupazione giovanile come dovrebbe intervenire oggi il governo Letta? Secondo Maurizio Sacconi “l’esclusione dei giovani dal mondo del lavoro è l’espressione del disastro educativo generato negli anni Settanta. Pochi laureati in ingegneria, tanti laureati in scienze della comunicazione, troppi che abbandonano gli studi, e poi la stupida e ideologica separazione tra lavoro e studio che invece dovrebbero integrarsi. I giovani hanno pagato poi l’autoreferenzialità dei docenti, gli egoismi corporativi, le impostazioni ideologiche. Come si interviene allora? Nell’immediato si deve semplificare il contratto di apprendistato che è forma ideale per l’inserimento nel mondo del lavoro. La scuola deve dare più possibilità in senso professionalizzante. E poi in tutte le scuole superiori e in tutte le università ci dovrebbero essere gli uffici di orientamento e collocamento per co-progettare i percorsi educativi.”
E i blandi provvedimenti presi finora dal governo Letta per incentivare le assunzioni? “Sono aiuti alle imprese - prosegue Sacconi - ma non determinano la scelta di assumere, abbattono il costo sì, ma non bastano a incentivare i nuovi contratti. I rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono come i matrimoni perché durano tutta la vita: se mi regalano il vino per il trattenimento, non per questo decido di sposarmi. Non ha senso, poi, incentivare le assunzioni a tempo indeterminato”.
Per Elsa Fornero, gli incentivi promossi dal ministro Giovannini “sono una buona misura che tende a dare respiro nel breve periodo, ma non risolvono i problemi strutturali dei quali anche il senatore Sacconi parla. in questo sono abbastanza d'accordo con lui. La riforma del mercato del lavoro non è qualcosa che una volta approvata dispiega subito i suoi effetti, e meno che mai in maniera miracolistica. Per esempio, vorrei che l’apprendistato diventasse la forma privilegiata per entrare nel mondo del lavoro. Ridurre il costo del contratto di apprendistato però, non basta. Bisogna riuscire a creare cooperazione tra con tutti gli attori coinvolti, scuola, mondo del lavoro, istituzioni. Inclusione e dinamismo sono i due obiettivi della mia riforma. Se questo viene definito di sinistra allora sono contenta”.
L’ultima parola sulla legge la pronuncia la sua artefice: "Il rammarico più grande è di non aver portato a termine la delega sui servizi per l’impiego, la parte più carente della riforma; tuttavia, su questo punto ci voleva la condivisione delle regioni, che si rifiutarono perché ben tre di esse erano in campagna elettorale. I nostri centri per l’impiego devono funzionare meglio, con professionalità e dovizia di informazioni, sia per giovani sia per i disoccupati”.