Sono 3 milioni e 127 mila i disoccupati italiani che ogni giorno cercano un lavoro. Tgcom24 prova ad aiutarli a districarsi tra inserzioni introvabili, contratti sibillini, selezionatori incontentabili e abusi delle aziende. Negli articoli precedenti abbiamo analizzato gli errori di chi si propone per una posizione, le potenzialità del web, il mondo della pubblica amministrazione e la giungla degli stage. Curriculum e colloquio invece, come funzionano?
“Spettabile ditta, sono Mario Rossi e sottopongo alla Sua corte attenzione il mio curriculum per la posizione disponibile”. Migliaia di mail con questo attacco vengono spedite ogni giorno da chi cerca lavoro. In qualche caso fortunato arriva persino la convocazione per un colloquio. Ma come superare le varie fasi dell’iter di selezione? Tgcom24 ha intervistato alcuni esperti per capire come proporsi al meglio e affrontare con successo l’incontro con l’azienda. La posta in gioco è il contratto di assunzione.
Scrivere un buon curriculum La carta di presentazione di ogni candidato e per qualsiasi tipo di impiego è il curriculum vitae. Che si scelga il formato europeo o una visualizzazione grafica più accattivante, è un elenco, spesso noioso, degli studi compiuti e dei precedenti lavori. Come si fa allora a catturare l’attenzione di chi lo leggerà? Francesco Cusaro, HR Group Director in TXT e consulente del Career Day, sostiene che “un buon cv deve essere tagliato sull’annuncio al qual si sta rispondendo. Oggi si dice che il curriculum deve galleggiare, vale a dire che deve essere speculare alle richieste delle aziende e sopravvivere nel mare magnum delle candidature online. Molti non lo sanno, ma le aziende, soprattutto quelle molto grandi, usano un software per la scrematura iniziale delle candidature: tale macchina legge i cv, li confronta con i requisiti della posizione libera e li ordina secondo un criterio di priorità. L’errore più comune è quindi quello di fare un solo curriculum per tutto. L’altro sbaglio è quello della incoerenza: la tecnologia consente di cercare informazione sulle persone al di là del cv e quindi la ricerca può risultare incoerente”.
Il cv deve essere accompagnato da una lettera introduttiva? “In alcuni casi- spiega ancora Cusaro - non viene più letta, ma è ancora utile laddove la scelta dei candidati è fatta da un singolo selezionatore, in maniera tradizionale. Valgono le stessa regole enunciate per il cv: considerare il contesto per il quale si concorre. Se voglio un posto come modello e quindi il mio aspetto fisico è determinante, la foto allora serve. Anche la forma deve essere coerente con la posizione: se voglio entrare in uno studio notarile, il tono deve essere formale, se voglio fare il cassiere del supermercato no. La coerenza è la regola migliore per vendere bene se stessi”.
Fare i conti con la reputazione digitale
Come rivela l’ultima indagine Adecco “Il lavoro ai tempi del #socialrecruiting e della #digitalreputation”, il 53 per cento dei candidati usa almeno un canale online per cercare lavoro. Tra loro il 30 per cento si rivolge a Facebook, il 26 per cento a LinkedIn, il 9 per cento ai blog e, come prevedibile, il 94 per cento ai siti di lavoro. Ma non tutti sanno che la Rete non è un ambiente neutro: il 30 per cento dei candidati non ha mai cercato il proprio nome attraverso un motore di ricerca.
Dall’altra parte della barricata, le Risorse umane coinvolte nello studio confessano di avere cercato il nome di un possibile dipendente attraverso Google e siti simili. Di solito non si fanno influenzare facilmente da quanto appreso sulla vita digitale della persona analizzata (solo nel 12 per cento ha escluso un candidato per informazioni reperite online), ma una ricognizione sull’identità digitale degli esaminati la fanno ormai in tanti. Occhio quindi a cosa si dice di noi su internet.
Lo specchio principale dentro il quale vedere la reputazione online è Google: basta digitare nome e cognome nella stringa di ricerca per vederci riflessa la propria immagine digitale. Come spiega Andrea Barchiesi, Ceo di Reputation Manager, “l’identità digitale è composta da foto, video, testi che ci riguardano e che abitano nel web. Si tratta di contenuti prodotti e diffusi da noi stessi, più o meno consapevolmente, ma anche di contenuti pubblicati da amici, colleghi, conoscenti, media a nostra insaputa. I recruiter guardano anche questi materiali quando selezionano il personale, non si fidano soltanto del curriculum che ciascuno si scrive da sé magari barando un po’. Per questo fanno un controllo incrociato con altre fonti che parlano di noi. Spesso sono a caccia delle incongruenze e delle stonature: se nel cv la foto del candidato è molto formale, ma su Facebook ha una la cresta oppure è a un rave party suona un primo campanello d’allarme. Non è una questione etica (ognuno è libero di fare ciò che vuole), ma di appropriatezza. L’errore è quello di pensare che Facebook e Twitter siano come il salotto di casa. Oggi le aziende sono sempre più caute nelle assunzioni di nuovi dipendenti e, più si sale di grado, più sono prudenti. Il primo passo è capire allora come si è “posizionati”, come ci vede il “popolo della Rete”, cosa si dice di noi sui siti. Uno strumento come “My reputation” può servire a quantificare quanto è positiva o negativa la propria identità digitale, quanto siamo professionali e presenti sul web”.
Il sito Reputation Manager stila una lista delle cose da fare (e non) per preservare la propria reputazione online:
- Prima di pubblicare un filmato su YouTube pensarci due volte soprattutto se si tratta di situazioni molto imbarazzanti o informali: scherzi in spiaggia, addio al celibato/nubilato ecc. Soprattutto avere l’accortezza di non firmarli con il proprio nome e cognome.
- Stessa avvertenza per le immagini che ci scatta il fotografo in discoteca: saranno pubblicate sul sito del locale e se non siete bel lontani dalla sobrietà e dalla compostezza meglio non esserci oppure non dichiarare il nome.
- Evitare foto ardite sui social: la vedranno tutti, anche il dato di lavoro, i colleghi, i docenti o i compagni di scuola.
- Sistemate le impostazioni relative alla privacy degli account sui social. Bisogna sempre pensare a chi potrà vedere quei contenuti, magari organizzando delle liste differenziate (solo amici, colleghi, capi ecc).
- Controllare i tag: magari non lo sappiamo ma qualcuno a nostra insaputa ci tagga e rende pubbliche quelle immagini che magari non avremmo far circolare.
- Occhio anche alla geolocalizzazione: spesso i post che pubblichiamo contengono (se non l’abbiamo disattivata) l’indicazione del luogo: non è necessario far sapere al nostro datore di lavoro che si è in un locale per scambisti.
Come migliorare allora una nomea online non proprio immacolata oppure debole? Spiega ancora Barchiesi: “Il segreto è comunicare noi stessi con coerenza e prudenza. Se l’immagine è molto compromessa ci si può rivolgere, invece, a un professionista: fa in modo che il nostro nome risulti tra i primi sui motori di ricerca e che le competenze lavorative vengano valorizzate. Se sono un manager della finanza e la prima cosa che Google riporta è che sono un appassionato di vini, devo invertire l’ordine e mettere l’accento sul lavoro e non sui miei hobby personali. Un consulente può servire anche quando non si ha nessuna reputazione perché siamo invisibili sulla Rete oppure nei casi di omonimia. Ci sono dei casi in cui si è scambiati per altri solo perché si ha lo stesso nome di qualcuno molto chiacchierato. Per un problema di questo tipo rischi di non essere assunto”.
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Colloquio, istruzioni per l’uso
Quando si è superata la prima scrematura dei cv, di solito si viene convocati per uno o più colloqui conoscitivi. Si incontrerà un rappresentante dell’azienda oppure un reclutatore professionista che ci squadrerà da testi a piedi e ci farà domande sulla nostra storia personale e sulle nostre competenze. Una situazione a dir poco imbarazzante che spesso è vissuta con ansia e imbarazzo.
Come raccomanda Chiara Rotasperti, dottoressa in Psicologia clinica e collaboratrice Licent - Università Cattolica di Milano, “Il fatto di andare a un colloquio di lavoro con tecniche di gestione dell’ansia garantisce maggiore ottimizzazione delle risorse. L’agitazione può abbassare il rendimento, proprio come avviene agli esami. Semmai è bene essere un po’ agitati nei giorni precedenti il colloquio perché è uno stimolo a prepararsi come si deve. Durante il colloquio invece va gestita e messa a bada”.
Francesco Cusaro il colloquio di lavoro è cruciale perché “è l’inizio di un vero e proprio matrimonio: per il 50 per cento deve essere speso per dire chi siamo, per il restante 50 per cento deve farci capire chi sono i datori di lavoro e cosa vogliono. Quando chiedo al candidato: ‘ha domande sull’azienda?’ Spesso mi rispondono di no e per me è assurdo. L’errore più grande è non avere idee chiare sulla ditta che si potrebbe sposare. Gli altri errori riguardano più la forma: l’abito adeguato, la puntualità, la cortesia.
Cusaro fa alcuni esempi concreti ricordando gli errori fatti da alcuni candidati: “Uno si è presentato all’intervista via Skype in pigiama. Non aveva capito che si trattava di un colloquio a tutti gli effetti. Poi capita spesso di contattare le risorse per fissare il colloquio e loro non si ricordano nemmeno di avere inviato il proprio cv per quel posto: non è certo una bella presentazione. I più inadeguati, però, sono quei ragazzi che sfoggiano lo stesso abbigliamento usato per andare in discoteca o a una cena con il fidanzato, magari osano pure un tacco a spillo e una generosa scollatura”.
Da un punto di vista psicologico, invece, i fattori da controllare sono altri, dice Chiara Rotasperti: “Siamo davanti a selezionatori professionisti quindi bisogna curare il linguaggio verbale, ma anche a quello non verbale, cioè i movimenti che dichiarano nervosismo e insicurezza: toccarsi troppo i capelli, immobilità, postura non adeguata al contesto. Una selezionatrice americana mi ha raccontato di candidati in ritardo, che masticavano il chewing gum oppure in infradito. La voce, poi, non deve essere troppo sommessa, ma neanche troppo alta”.
Come non tradire allora l’ansia fisiologica che si ha dentro? Chiara Rotasperti consiglia di “prepararsi tanto facendo simulazioni, cercare di contattare chi ha fatto un colloquio simile. In alcuni casi aiutano le tecniche di respirazione. Non bisogna apparire terrorizzati, ma nemmeno strafare perché si risulta antipatici e perché di solito non si ha gran cv. Meglio non mentire sul proprio inglese o sul altri dettagli, si viene sempre scoperti”.
E se non si hanno altre esperienze di lavoro? “Questa è la domanda classica che mi fanno sempre gli studenti - confessa Francesco Cusaro. - Il problema però, non è dei ragazzi ma dei selezionatori che spesso usano metodi sbagliati. Per capire come si comporterà una persona nel contesto lavorativo, bisogna guardare al suo passato, non al presente e nemmeno al futuro. Se cerco un progettista per elicotteri e ho davanti un neolaureato andrò a vedere per esempio come si è organizzato per sostenere l’esame più difficile del proprio percorso universitario, chiederò qual è stato il docente più ostico, oppure come si è comportato in situazioni critiche. Per questo è importante inserire nel cv i viaggi fatti, l’oratorio piuttosto che il volontariato. Raccontano chi siamo come persone, non solo come lavoratori”.