Il Dl Rilancio contiene una norma che risponde all’esigenza, da più parte professata, di avvicinare il risparmio degli italiani - che va protetto e valorizzato, non tassato - all’economia reale.
L’art. 136 del decreto promuove infatti gli investimenti, in capitale di rischio o in capitale di debito, nel mondo delle società non quotate, tramite la creazione di una nuova forma di Piano individuale di risparmio (Pir) che potrà essere costituito da ciascuna persona in aggiunta a quello ordinario. Il Pir è uno strumento che punta sulla leva fiscale, in quanto i redditi prodotti nell’ambito del piano sono esenti da tassazione sui redditi finanziari e non si applica l’imposta di successione. Viene innalzata la soglia dell’investimento a disposizione del singolo a 150mila euro annui e 1,5 milioni nel complesso e il vincolo di concentrazione degli investimenti al 20 per cento.
Gli intermediari con cui costituire i Pir sono vari, non solo Oicr aperti e contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, ma anche Fia (come Eltif e fondi di private equity). Riteniamo che il nuovo Pir rappresenti un ampliamento dei Pir ordinari attraverso veicoli aperti sottoscrivibili da investitori non professionali. Il successo di questi strumenti di finanza per la crescita (o meglio di finanza per il rilancio, visto il periodo), passa proprio da qui. Occorre garantire alla clientela cosiddetta non professionale l’accesso a forme di investimento alternative per una maggior diffusione di questi strumenti, che si aggiunga alla specifica normativa Eltif.
Aspetto fondamentale per avvicinare il risparmio degli italiani (circa 10.000 miliardi, di cui circa 4.500 in asset facilmente liquidabili, 1.400 nei conti correnti e almeno 150 in banconote in cassette di sicurezza o nelle case) all’economia reale è poi l’incentivazione fiscale. Di una cosa infatti siamo certi, in questo periodo di crisi abbiamo bisogno di un fisco che stimoli la ripresa degli investimenti, dei consumi e che pensi al lavoro. È quindi da archiviare la proposta (come ogni altra proposta di nuove imposte) di tassare con un contributo di solidarietà i redditi alti (che non è una patrimoniale perché insiste sui redditi, ma ha gli stessi effetti depressivi) o quella di introdurre improbabili patrimoniali o prelievi forzosi. Bisogna proteggere e non penalizzare chi ha il cruciale compito di far ripartire i consumi.
È vero, come confermano una volta in più i dati appena pubblicati delle dichiarazioni dei redditi 2018, che occorre “superare” il sistema della dichiarazione dei redditi, assolutamente non espressiva della distribuzione della ricchezza del Paese, per andare verso una dichiarazione che accolga informazioni più dettagliate sui beni detenuti e sui redditi assoggettati a sostitutiva (che oggi, in dichiarazione, non si vedono) per tendere verso una riforma fiscale vera che abbia come baricentro l’equità, la certezza del diritto e un nuovo patto fisco-contribuenti, ma a questo possiamo pensare una volta passata l’emergenza.
Nell’immediato abbiamo bisogno di altro (guardando a casa nostra e per una volta non aggiungendo altre parole al dibattito sugli scenari europei), di un fisco appunto di stimolo alla ripresa. Nel Dl rilancio c’è qualche traccia in questa direzione (gli incentivi agli aumenti di capitali, i nuovi Pir, la controversa norma sui patrimoni destinati, crediti di imposta e compensazioni più facili, proroga della rivalutazione delle quote). Forse altri strumenti sarebbero stati più efficaci: sospensione della norma sulla deducibilità degli interessi passivi, potenziamento dell’Ace per le iniezioni di liquidità in azienda, super deduzione del costo del lavoro che incide sul cuneo fiscale per chi mantiene o incrementa la forza lavoro nel 2020 e 2021, incentivi all’”impatrio” di holding e centri di ricerca, detassazione integrale – per premiare la bellissima gara di solidarietà scatenata dalla crisi e magari convogliare le somme in un fondo ad hoc destinato a sanità e infrastrutture - delle donazioni, risolvendo le problematiche Iva e accogliendo la petizione che pochi giorni fa il Parlamento europeo ha deciso di mandare avanti. Incomprensibile perché all’ultimo sia sparita dal Dl rilancio la condivisibile norma sul voto plurimo stile Olanda, ma tant’è.
Soffermiamoci però sugli strumenti per avvicinare il risparmio all’economia reale. È interessante il dato del successo del Btp Italia appena lanciato: 14 miliardi raccolti tra le famiglie in 3 giorni di asta al pubblico. È il momento di osare di più e lanciare titoli del debito pubblico per gli italiani finalizzati alla ripresa del Paese esenti da ogni imposta presente e futura (seguendo il buon slogan del “ricompriamoci il nostro debito pubblico”). Potrebbe poi essere agevolata l’emissione di prestiti obbligazionari (a cui estendere la garanzia statale) emessi da aziende italiane detassando gli interessi e altri proventi in capo ai sottoscrittori.
Quanto al rischio di perdita di gettito dovuta al ricorso al “fisco di stimolo”, oltre alla considerazione che senza investimenti, consumi e lavoro il gettito scompare del tutto, potrebbero promuoversi alcuni strumenti (ovviamente opzionali) per fare cassa e anche convogliare il risparmio verso i titoli di cui si è appena detto.
Potrebbe essere l’occasione per proporre la definizione in contraddittorio (no condoni, ma un accertamento con adesione potenziato) di liti potenziali e pendenti garantendo lo stralcio degli interessi e una super riduzione delle sanzioni e soprattutto si dovrebbe riprendere il percorso, che ha ricevuto il recente endorsement anche di Carlo Messina di Intesa Sanpaolo, verso una voluntary disclosure ter abbinata alla regolarizzazione del contante (150/200 miliardi) nelle cassette di sicurezza e nelle case, veicolando le somme regolarizzate nei titoli del debito pubblico (gli stessi esenti da imposte presenti e future che, come si diceva, possono essere sottoscritti da tutti gli italiani).
Commento a cura di Antonio Tomassini - Dla Piper.