Silvia Romano ha passato la sua prima notte a casa, a Milano. E ora che si trova al sicuro si cominciano a delineare i retroscena che hanno portato alla sua liberazione. Una operazione portata avanti in silenzio dai nostri servizi di intelligence che hanno però dovuto appoggiarsi agli "aiuti" di altri Paesi. Tra questi ci sono la Turchia, che ha molti collegamenti in Somalia, ma anche il Qatar, dove si è svolta la trattativa finale col pagamento del riscatto. Soldi, tanti, che secondo il portavoce di Al Shabaab non saranno usati solo per acquistare armi ma anche per la popolazione civile.
L'ultimo viaggio in trattore - Partiamo dalla fine, giovedì 5 maggio, dopo 18 mesi di prigionia, il capo dei sequestratori comunica a Silvia Romano che è finita, tornerà a casa. Lo racconta lei stessa, commuovendosi, ai magistrati italiani che indagano sulla vicenda. L'hanno fatta salire su un trattore. Un viaggio durato tre giorni, sotto la pioggia battente che in questo periodo flagella la Somalia. Nella notte tra l'8 e il 9 maggio Silvia Romano sale finalmente a bordo di un'auto, a bordo ci sono agenti dei servizi segreti che la portano all'ambasciata italiana di Mogadiscio.
Le fake news della Turchia - Non è chiaro chi ci sia a bordo di quella macchina. Se si tratta di italiani o turchi. Le forze di sicurezza di Ankara sono stati necessari, in Somalia hanno una fitta rete di collegamenti e hanno aiutato i nostri servizi. In cambio di cosa? Si parla di un appoggio italiano alle strategie turche in Libia. E per dimostrare il peso avuto da Ankara nella liberazione di Silvia Romano è spuntata la prima foto della ragazza in auto con indosso un giubbotto antiproiettile con sopra la mezzaluna turca. Ma è l'Aisi, il servizio di intelligence militare italiano a smentire: "E' una fake news, quel giubbotto è un dispositivo in dotazione ai nostri uomini". Ma il messaggio al mondo è arrivato ugualmente, Ankara in questa operazione ha avuto il suo peso.
Il ruolo di mediazione del Qatar - Ma un altro Paese arabo è spuntato in questa storia. Si tratta del Qatar, nazione con la quale abbiamo grandi interessi economici e che è servita a portare a termine la trattativa finale. Il Qatar ha contatti importanti con Al Shabaab, per liberare 26 membri della famiglia reale rapiti dai terroristi arrivarono a pagare un miliardo di dollari. E a Doha, raccontano i giornali italiani, si è svolta la trattativa finale. Qui è arrivato il video definitivo, quello in cui si dimostrava la presenza in vita di Silvia Romano, e sempre qui è partito il pagamento del riscatto.
Un riscatto da almeno un milione e mezzo di euro - E veniamo al riscatto. Lo Stato italiano ha pagato per la liberazione di Silvia Romano. Non è la prima volta che succede, anzi. Per Silvia Romano la cifra su cui diverse fonti convergono è un milione e mezzo di euro. Tanto sarebbe arrivato nelle casse di Al Shabaab. Ma a questi vanno aggiunti anche i soldi pagati nei mesi scorsi per i vari informatori. Centinaia di migliaia di euro finiti nelle tasche di molte gole profonde, non sempre risultate poi attendibili.
Il portavoce di Al Shabaab: "Compreremo armi ma non solo" - Abbiamo quindi finanziato il terrorismo? In parte sì, se consideriamo l'organizzazione Al Shabaab come tale. Ma il portavoce del gruppo, Ali Dehere, intervistato telefonicamente dal quotidiano La Repubblica, la pensa diversamente: "Non siamo terroristi, controlliamo gran parte della Somalia, siamo nelle periferie delle città, nelle zone rurali, combattiamo contro la politica corrotta del governo di Mogadiscio". Ma questa lotta è fatta di azioni militari e soprattutto attentati ad opera di kamikaze. "Con i soldi del riscatto compreremo armi - dice ancora Ali Dehere - ma non solo, serviranno anche a gestire il Paese, a pagare le scuole, comprare cibo e medicine per il nostro popolo, a formare i poliziotti che faranno rispettare le leggi del Corano". Questo perché Al Shabaab vuole imporre la Sharia in tutta la Somalia.
"Silvia è stata trattata bene, ha scelto l'Islam da sola" - Ali Dehere conferma anche che la conversione di Silvia Romano all'Islam non è stata imposta. "Silvia Romano ha scelto l'Islam perché ha capito il valore della nostra religione dopo aver letto il Corano e pregato", ha detto non chiamandola mai Aisha, il nome scelto dalla ragazza. Non ha subito nemmeno violenza, dice ancora il portavoce di Al Shabaab: "Abbiamo fatto di tutto per non farla soffrire, anche perché Silvia Romano era un ostaggio, non una prigioniera di guerra. Per noi lei era una preziosa merce di scambio".
Secondo quanto riporta Askanews, il portavoce di Al Shabaab, Ali Dehere, ha smentito di aver rilasciato un'intervista al quotidiano La Repubblica, definendola una "fake news".