A poche ore dalla liberazione di Silvia Romano, la volontaria italiana rapita in Kenya nel 2018, emergono i primi particolari dell'operazione che ha portato in salvo la 25enne. La svolta per l'epilogo della vicenda si è avuta a gennaio, quando all'intelligence è giunto un video che dimostrava lo stato in vita di Silvia. Secondo quanto riportato da Il Corriere della Sera, la giovane avrebbe detto di essersi "convertita" durante la prigionia.
Con abiti tradizionali e il capo coperto La ragazza, al momento dello scambio con i rapitori, è arrivata vestita con abiti tradizionali delle donne somale e con il capo coperto. Una volta portata al sicuro nell'ambasciata italiana in Somalia, ha detto di essere "una convertita" e che "chiarirò tutto con mia mamma appena la rivedrò". Già nei mesi scorsi era circolata la notizia che fosse stata costretta a sposare uno dei suoi carcerieri e aderire all'Islam. Soltanto dopo il rientro in Italia si capirà se sia stata davvero una sua scelta.
L'esame del video conferma la matrice jihadista Il filmato di gennaio, in cui la ragazza dice di stare bene, è sata la prova in vita che l'intelligence italiana attendeva per dare il via libera all'ultima fase della trattativa e autorizzare il pagamento del riscatto. L'esame del video ha confermato la matrice jihadista. I servizi segreti somali hanno collaborato con i nostri 007 e fondamentale è stata anche la mediazione dell'intelligence della Turchia, che ha un controllo forte sull'area africana tra Tripoli e Mogadiscio.
Il prezzo finale per il riscatto Per un periodo Silvia Romano sarebbe stata rinchiusa in una grotta con altri ostaggi. Intanto i suoi rapitori fissavano il prezzo finale per la sua liberazione, dopo i soldi versati per pagare i vari contatti. Una cifra precisa non c'è. Nel 2012, per fare un esempio, la liberazione di un ostaggio ingelse costò al suo Paese una somma pari a un milione e 200mila euro.