Colpo di scena nel caso di Michael Flynn, l'ex consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca e stretto collaboratore di Donald Trump fin dalla campagna elettorale del 2016 coinvolto nel Russiagate. Il dipartimento di Giustizia con una mossa a sorpresa ha deciso di far cadere le sue accuse, scagionando di fatto l'ex generale che era stato incriminato dal procuratore speciale Robert Mueller e che era in attesa di una sentenza.
Eppure lo stesso Flynn nel 2017 si era dichiarato in un primo momento colpevole, ammettendo di aver mentito sui suoi incontri con un diplomatico russo agli agenti dell'Fbi e agli investigatori che indagavano sulle interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali del 2016. Salvo poi ritrattare.
Ma il dipartimento di Giustizia, guidato da William Barr, per giustificare la sua decisione di lasciar cadere le accuse ha ritenuto le false dichiarazioni di Flynn non rilevanti ai fini delle indagini sul Russiagate.
Così esulta Donald Trump, che più volte ha difeso il suo ex consigliere e che lo scorso mese aveva anche evocato un provvedimento di grazia, affermando come Flynn sia "un uomo innocente" e "un grande guerriero" vittima di una sorta di persecuzione: "Sono molto felice per lui", ha affermato il tycoon.
Che le cose si stessero mettendo a favore di Flynn si era capito con le improvvise dimissioni del procuratore che aveva condotto il caso, Brandon Van Grack, più volte attaccato dai legali dell'imputato e in contrasto con la linea del dipartimento di Giustizia.
Gli incontri finiti nel mirino degli investigatori sono quelli dell'ex consigliere per la sicurezza nazionale con l'ex ambasciatore russo a Washington Sergei Kislyak, avvenuti durante il periodo di transizione prima dell'insediamento di Trump alla Casa Bianca. Il primo interrogatorio di Flynn da parte degli agenti dell'Fbi risale al gennaio 2017, quattro giorni dopo la cerimonia inaugurale della presidenza Trump. La vicenda costò le dimissioni all'ex generale che ha rischiato il carcere.