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Junk bond a garanzia della liquidità data alle banche, la svolta della Bce

Per proteggere alcuni Paesi dell’Eurozona dal declassamento del debito l’istituto di credito europeo ha abolito alcune regole sui titoli spazzatura

La Banca centrale europea accetterà, come garanzia a fronte della liquidità fornita alle banche, titoli che fino al 7 aprile erano classificati come spazzatura (tecnicamente BBB- e che, a seguito di un declassamento ulteriore, scenderanno fino a due gradini al di sotto di quel livello). In precedenza la Bce accettava come collaterali solo titoli di Stato con rating “investment grade” e rifiutava categoricamente i “junk bond”. Un altro provvedimento che riguarda i titoli spazzatura era già stato annunciato a marzo, quando la Bce si era impegnata ad acquistare i bond greci che, sulla base dei rating, sono considerati “non investment grade”. La situazione, per quanto riguarda gli altri Paesi, è in stallo: dopo la riunione del Consiglio direttivo del 30 aprile, Christine Lagarde ha dichiarato che “non è stata discussa la possibilità di acquistare junk bond nell’ambito del quantitative easing e del Pepp”. Ma cosa sono esattamente questi titoli spazzatura?

Si tratta di titoli emessi da Stati o aziende con rating inferiori alla tripla B negativa: sotto questo livello, dunque dalle doppie B in poi, le obbligazioni entrano nel campo “high yield”: a questo ambito appartengono bond ad alto rendimento ma anche ad alto rischio, che hanno un mercato più limitato, per questo sono definiti “spazzatura” (in inglese “junk”).

Prima dello scoppio della Pandemia, la Bce poteva acquistare esclusivamente titoli di Stato con un rendimento superiore alla BBB-, che garantivano maggiori sicurezze. La decisione di accettare anche i junk bond, deriva dalla considerazione che la crisi aumenterà il rapporto debito/Pil degli Stati dell’Eurozona, a causa delle spese in campo sanitario e degli investimenti necessari per sostenere imprese e famiglie. I Paesi che si trovavano già attorno alla soglia del 100% di questo rapporto, rischiano di essere travolti da un’ondata di declassamenti di rating.

Si stima, per esempio, che il debito italiano, in seguito alla crisi Covid-19, passerà dal 137% ad almeno il 150%, quello portoghese dal 120% al 140%, Spagna e Francia da meno del 100% al 120%. La Bce ha quindi deciso di rimuovere i paletti sui junk bond per anticipare lo scenario peggiore dei valutatori mondiali del rischio di credito.

Le agenzie di rating nell’ultimo mese non sono state a guardare. Il 24 aprile, Standard & Poor’s ha lasciato invariato il rating dell’Italia a BBB, mantenendo l’outlook negativo. La decisione lascia il giudizio sull’Italia due gradini al di sopra del territorio speculativo. L’agenzia ha però dichiarato che “sarà possibile una revisione al ribasso del rating dell'Italia se il debito non sarà messo su una chiara via al ribasso nel corso dei prossimi tre anni e se ci sarà un marcato deterioramento delle condizioni di credito che metta a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche, per esempio a causa di misure di sostegno insufficienti da parte dell'Eurozona”.

Meno generosa è stata Fitch, che ha anticipato il giudizio per l’Italia, inizialmente atteso per il 10 luglio. L’agenzia ha declassato il nostro Paese, portando il rating sul debito sovrano da BBB a BBB-, solo un gradino sopra al limite dei junk bond. L’outlook è passato invece da negativo a stabile. Fitch si allinea così all’ultima valutazione di Moody’s, l’agenzia più severa nei confronti dell’Italia, ma che per adesso ha annunciato di voler congelare la valutazione e che la aggiornerà soltanto più avanti. L'agenzia canadese Dbrs, infine, l'8 maggio ha confermato il rating BBB (high) dell'Italia, ma rivedendo al ribasso il trend portandolo da stabile a negativo

A prescindere dalle misure intraprese dalla Bce, perdere lo status di “investment grade” significherebbe uscire automaticamente dai portafogli dei grandi investitori, in particolare banche, assicurazioni, casse previdenziali o fondi pensione, i cui statuti richiedono requisiti minimi in termini di merito di credito. Le conseguenze potrebbero essere altrettanto pesanti per le società, finanziarie e non, che hanno residenza in Italia. Per il momento però, il pericolo è scongiurato.



Articolo realizzato in collaborazione con il master biennale in giornalismo della IULM, contenuto a cura di Eleonora Fraschini.

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