Cos'ha fatto l'Unione europea per fronteggiare l'emergenza Covid-19? E come hanno reagito i Paesi Ue alla diffusione del coronavirus? E' su questo che si concentra la prima puntata della nuova edizione di "Giovane Europa", la rubrica di Tgcom24 realizzata in collaborazione con la Commissione europea. Un viaggio attraverso l'Europa dei lockdown: nel primo appuntamento, andato in onda giovedì 30 aprile, si è parlato infatti delle diverse reazioni dei Paesi Ue all'emergenza sanitaria.
In particolare, sono tre i modelli di lockdown analizzati da "Giovane Europa": il primo è quello di Italia, Spagna e Francia, il secondo quello dei Paesi Bassi e il terzo quella della Germania. Si è parlato anche della Svezia, un caso unico nel panorama europeo.
La risposta di Italia, Francia e Spagna - Il 21 febbraio 2020, il virus arriva in Italia. Con il crescere dei positivi, le terapie intensive non hanno più letti disponibili, vengono decretate le prime zone rosse. Vengono chiuse le scuole, i negozi e i musei. Un provvedimento senza precedenti. Con il blocco delle fabbriche, il lockdown è totale. Rimangono aperte solo le attività essenziali e gli spostamenti sono consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, di salute o assoluta urgenza.
E' il 17 marzo quando i leader europei bloccano le frontiere dell'Unione, ma al suo interno ogni Stato stabilisce chiusure più o meno tempestive. Forti dell'esperienza italiana, anche i francesi optano per il lockdown totale: a metà marzo, annunciano lo stop di scuole, negozi, ristoranti e attività ricreative. Anche l'industria si ferma.
Altro caso analogo è quello della Spagna, che a marzo è seconda solo all'Italia per numero di contagi. Il governo di Madrid impone a tutti gli spagnoli l'isolamento forzato, stop a qualsiasi attività che non sia di prima necessità, come alimentari e farmacie. Si può uscire per motivi di assoluta urgenza, per andare al lavoro, assistere anziani o persone vulnerabili.
L'unica differenza tra questi tre Paesi riguarda i luoghi di culto: se in Italia e Francia messe e funerali vengono sospesi, in Spagna restano consentiti, seppur con precisi limiti di tempo, distanziamento e partecipazione.
La risposta della Germania - La Germania ha adottato un modello per gradi: ha iniziato da una fase di screening (test a tappeto); una volta censiti i contagi sono arrivate le misure di contenimento. Si tratta di un lockdown non totale: aperti farmacie e alimentari, consentito fare jogging e attività fisica all'aperto; chiusi scuole, università, negozi, bar e ristoranti. Per quanto riguarda le industrie, non tutte si sono fermate: molte hanno continuato la loro attività, seppur con le dovute precauzioni.
La risposta dei Paesi Bassi - I Paesi Bassi sono partiti dalla combinazione di due strategie, nessuna delle quali attuata in Italia: la teoria dell'immunità di gregge e un lockdown più soft. Dell’immunità di gregge aveva parlato anche il primo ministro inglese Boris Johnson, scatenando le critiche di tutto il mondo. Questa teoria consiste nell’esporre la popolazione al virus in modo da immunizzare più persone possibili. A questa si accompagna, come detto, un lockdown più soft: scuole e università sono chiuse così come le attività che prevedono un contatto ravvicinato con i clienti (saloni di estetica, parrucchieri, locali a luci rosse); aperti bar e ristoranti take away e i negozi, purché siano rispettate tutte le regole di social distancing.
Per certi versi la strategia attuata dai Paesi Bassi assomiglia a quella della Germania, perché anche in questo caso il governo fa leva sul buon senso, sul senso di responsabilità dei cittadini. Tante restrizioni più che veri divieti vengono emanate sotto forma di consigli caldamente raccomandati.
Il modello Svezia - In Svezia non sono state imposte molte misure restrittive, le scuole non sono state chiuse (o meglio sono stati chiusi soltanto alcuni istituti e università), i bar e i ristoranti hanno sempre continuato a lavorare, è stato sempre possibile fare sport all’aperto, i parchi sono rimasti aperti. Lo Stato ha puntato sulla sanità pubblica, sulle misure di sicurezza e ha trovato ottima collaborazione da parte della popolazione. L’approccio è sicuramente molto diverso da quello che abbiamo avuto noi, così come da quello di tanti altri Paesi europei. Un approccio che si è portato dietro diverse polemiche, ma che l'Oms ha di recente definito un "modello da seguire per raggiungere una nuova normalità".
La risposta dell'Unione europea - Claudia De Stefanis, responsabile Comunicazione della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, è stata ospite della prima puntata di "Giovane Europa". "E' un'emergenza epocale, una crisi senza precedenti, una crisi che è sanitaria prima di tutto, ma è anche economica e sociale. Naturalmente una crisi senza precedenti richiede una risposta senza precedenti, ed è quello che ha fatto l'Unione europea - spiega -. Siamo intervenuti dai primissimi istanti. La necessità primaria era quella di dare supporto ai sistemi sanitari dei vari Stati membri, quindi sono stati sbloccati 3 miliardi di euro che sono serviti, e che servono tuttora, per far arrivare il materiale laddove serve (mascherine, dispositivi di protezione individuale), anche attraverso la costituzione di una riserva strategica europea".
Una raccolta fondi globale - Il 4 maggio parte una raccolta fondi molto importante a cui parteciperà anche l'Unione europea: "Risposta globale al coronavirus". "Si è deciso di aderire a una campagna globale, che vede coinvolte l’Unione europea, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e alcune fondazioni", ha detto De Stefanis. I fondi raccolti saranno incanalati verso tre obiettivi: diagnosi, cura e vaccini. "Questa raccolta fondi globale contro il coronavirus sarà lanciata il 4 maggio alle 15", ha concluso De Stefanis.