Il Consiglio europeo del 23 aprile avrà il compito di individuare i nuovi strumenti finanziari per coprire le spese impreviste legate alla Pandemia. Oltre le misure già annunciate dall'Ue, è infatti, in esame un grande piano di rilancio economico di importo ancora non precisato (nell'ordine di mille miliardi o più). I sistemi per alimentare tale piano sono al momento due: gli inediti e finora mai usati Coronabond (o Covid Bond) e una loro forma più prudente chiamata Recovery Bond.
Tale scelta però, questa potrebbe slittare ulteriomente e restare la più grande opera incompiuta dell’Unione Europea. Invocati da alcuni come salvatori dell’economia in momenti di crisi, i bond europei rischiano di attraversare due gravi recessioni (quella successiva alla crisi del 2007-13 e quella attuale) senza aver mai trovato attuazione. Ma cosa sono esattamente e cosa c’entrano con l’emergenza Coronavirus? Sono uno sviluppo e un adattamento alla situazione attuale dell'Eurobond, degli ipotetici titoli di Stato europei garantiti da tutti i Paesi dell’Unione, e proposti per la prima volta durante la crisi dei debiti sovrani nell'area monetaria euro, nel 2011. Ipotetici proprio perché non sono mai stati messi a punto e difficilmente lo saranno finché l'Europa non avrà una fiscalità unica. Andiamo però con ordine.
A cosa servono i titoli di Stato - Gli Stati in genere spendono più di quanto incassano: la differenza tra entrate e uscite è il cosiddetto deficit. Le imposte versate da imprese e cittadini non bastano infatti a sostenere la spesa pubblica (pensioni, sanità, istruzione ecc.) e quindi i Paesi sono costretti a finanziarsi sui mercati. Come? Chiedendo soldi in prestito.
Ogni nazione emette a questo scopo titoli di stato (bond in inglese), cioè obbligazioni che vengono acquistate da famiglie e investitori istituzionali (vale a dire banche, assicurazioni, fondi di investimento e società specializzate). Lo Stato dovrà poi restituire la cifra presa in prestito maggiorata dagli interessi. Per debito pubblico, si intende proprio l’ammontare di denaro che uno Stato deve restituire a tutti quei soggetti (in primo luogo gli obbligazionisti) che gli hanno prestato denaro a breve, medio o lungo termine. Solitamente si misura come percentuale del Prodotto interno lordo.
I Paesi mediterranei sono quelli con il più alto debito pubblico dell’Eurozona, guidati dalla Grecia e seguiti dall’Italia. Nel 2019 il debito pubblico italiano si è attestato al 2.409 miliardi di euro, pari al 134,8% del Pil, per l'anno in corso qualche analista teme possa portarsi al 160% del Pil (dati della Banca d'Italia).
È il Ministero del Tesoro a emettere i Titoli di Stato italiani. Per quelli con scadenza a breve (compresa tra i 3 e i 12 mesi) vengono utilizzati i BoT (Buoni ordinari del Tesoro), mentre i CTz (Certificati del Tesoro zero coupon) hanno scadenza a 24 mesi. Per le scadenze a medio e lungo termine vengono emessi i BTp (di solito tra i 3 e i 30 anni, ma ci sono anche scadenze superiori) oppure i CcT.
I tassi d’interesse e lo spread - I tassi d’interesse cambiano da Stato a Stato e variano in base all’affidabilità: più un Paese è solido, meno alto sarà l’interesse che dovrà pagare, perché viene valutato il suo rischio di credito, cioè la capacità di onorare il prestito nei tempi concordati. Da qui nasce lo spread, cioè la differenza dei rendimenti tra i titoli italiani (Btp) e quelli ritenuti più affidabili, i Bund tedeschi. Da qui l'importanza dei giudizi sulla qualità del debito che arrivano dalle tre principali agenzie di rating a livello mondiale (Standard & Poor's, Moody's, Fitch, a cui si aggiunge anche la canadese Dbrs).
I Coronabond - Ed è qui che entrano in scena i Coronabond: obbligazioni che - questa è la proposta - potrebbero essere emesse dall’Unione Europea, e non dai singoli Paesi. I debiti sostenuti per fronteggiare la crisi Coronavirus ricadrebbero così sull’intera Unione e sarebbero in questo senso uno strumento di mutualizzazione del debito (presente, passato e futuro).
Gli Stati del Vecchio Continente saranno costretti ad aumenti straordinari nella spesa pubblica per affrontare le conseguenze economiche dovute alla Pandemia. Pur essendo un problema comune, questo andrebbe a colpire maggiormente i Paesi che hanno un elevato debito pubblico, come l’Italia, i cui titoli sarebbero considerati più rischiosi e quindi emessi con alti tassi d’interesse. Gli interessi andrebbero così a incrementare ancora una volta il debito pubblico, concorrendo a un circolo vizioso dal quale sarebbe impossibile uscire.
I Coronabond avrebbero invece tassi d’interesse più bassi, visto che sarebbero garantiti anche da stati economicamente più forti, come la Germania. In pratica, si verrebbe a creare un livellamento dei tassi dovuti alla media dell’affidabilità dei membri dell’Unione.
Nord contro Sud - La creazione di una obbligazione europea che metta in comune i debiti accumulati negli anni precedenti alla Pandemia, però, trova la ferma opposizione dei Paesi nordici, i cui conti sono in ordine e il debito sotto controllo. A essersi schierati apertamente contro i Coronabond sono finora Germania, Olanda e Austria. Gli Stati più virtuosi non avrebbero nessun interesse immediato a pagare una porzione del rischio di insolvenza di Paesi terzi. Agli occhi dei Paesi nordici infatti appaiono come una scusa per evitare di ridurre la spesa pubblica o tassare i patrimoni degli Stati del Sud.
L'alternativa dei Recovery bond - Per far procedere il negoziato che rischiava di paralizzare il lavoro dell'Eurogruppo, la Francia ha allora proposto l'istituzione di un Recovery fund (un fondo per la ripresa): sarebbe il bilancio dell’Unione Europea a garantire i cosiddetti Recovery bond. A differenza dei Coronabond, questa obbligazione non implicherebbe la condivisione dei debiti passati dei paesi Ue, ma limiterebbe la mutualizzazione ai debiti futuri.
Aspettando i Coronabond - In assenza di una emissione obbligazionaria europea, il debito pubblico italiano sarà così sostenuto: la Banca Centrale europea darà il primo aiuto, con il nuovo quantitative easing che dovrebbe finanziare nel 2020 oltre 200 miliardi di debito italiano; se, contrariamente a quando dichiarato finora, il Governo deciderà di accedere al Mes (il famigerato Fondo Salva Stati), da questo strumento potrebbero arrivare 40 miliardi di euro, mentre ulteriori 17 miliardi di euro arriveranno dal fondo Sure. L'ipotesi di default dell'Italia dovrebbe essere quindi scongiurata in ogni caso, perché il debito nostrano resterebbe in mano a investitori affidabili e istituzionali.
Articolo realizzato in collaborazione con il master biennale in giornalismo della IULM, contenuto a cura di Benny Mirko Procopio.