Fake news. Cosa sono, come nascono e perché vengono diffuse. Come possiamo riconoscerle per poi contrastarle. Ne hanno discusso insieme Andrea Delogu, Vice Direttore Generale Informazione del Gruppo Mediaset e Alberto Dal Sasso, Presidente IAA e MD Nielsen AIS Media Italia. Qui il dialogo integrale.
Buongiorno Andrea, come inquadri il fenomeno delle fake news nel momento storico che stiamo vivendo ma anche più in generale nel periodo che ha preceduto il Covid19?
Le fake news sui social network volano, soprattutto al tempo del coronavirus: hanno costi molto bassi, un’alta redditività e permettono dunque un facile ricavo, sia commerciale che politico. Oggi possono essere usate da chiunque, basta avere un certo numero di follower ed essere capaci di coinvolgere nomi importanti, perché l’animo umano è più disposto a credere ad una cattiva notizia, piuttosto che ad una buona.
Ma da dove nasce, dal tuo punto di vista, questo fenomeno e che evoluzione ha seguito negli ultimi anni?
Certamente non nasce sui social network, ma storicamente dobbiamo farlo risalire al ‘500 con i Gazzettieri, quindi non è un fenomeno di questi giorni. Le fake news ne sono solo una evoluzione, in particolare con la nascita di Internet 2.0 sembrava potersi verificare la fine del giornalismo, perché chiunque poteva fare notizia e la testata sembrava perdere gradualmente il potere di garanzia dell’informazione. Oggi la testata giornalistica torna a nutrire apprezzamento da parte del pubblico, a differenza di quello che sembrava essere la tendenza 10-15 anni fa.
Quindi c’è più domanda di interventi autorevoli?
La proliferazione delle fake news ha comportato la necessaria ripresa dell’autorevolezza del ruolo dell’informazione giornalistica di qualità: c’è un maggior ascolto televisivo e radiofonico, il pubblico riconosce nel giornalismo una tipologia di informazione certificata, autorevole, seria e professionale. Pensiamo ai “novax”, che si cibavano di fake news facendo circolare sui social notizie false relative ai danni provocati dalle vaccinazioni: oggi non esistono più, nè potrebbero avere il minimo spazio nel dibattito. Stiamo dunque assistendo ad un ritorno di fiducia verso le testate giornalistiche storiche.
Come avviene il controllo dunque per mantenere alta competenza e fiducia nella testata?
Ci sono i fatti, le notizie e le storie”, prosegue Andrea, “fatti e notizie sono considerati hard news e in quanto tali devono essere dati e controllati nella fonte, mentre le storie, oltre al controllo delle fonti, richiedono discrezionalità e possono trattare le notizie anche in contenitori verticali come “crime”, economici o di altro tipo, politico per esempio. In Mediaset abbiamo, di fatto, tre tipologie di giornalisti: chi lavora sui fatti, chi sulle notizie, chi sulle storie. Tutti i nostri conduttori sono generalmente giornalisti e quindi garanti della qualità dei temi trattati.
Esistono degli strumenti per contrastare le fake news?
C'è un coordinamento nazionale che unisce pubblico e privato nella lotta al fenomeno o ogni broadcaster agisce in modo indipendente? Il Gruppo Mediaset ha messo in onda uno spot dove sono presenti anche testate giornalistiche di altri gruppi, perché la serietà del giornalismo implica che ci sia un direttore responsabile e una redazione che controlli ciò che accade. Esiste un coordinamento, vedasi quello tra Assolombarda, Confindustria, FIEG, tutti enti che comprendono editori e giornalisti stessi.
E come la mettiamo con il controllo delle fonti ai tempi dei social?
Oggi il mestiere di giornalista è finanche più rischioso e difficile: se si commette un errore, si paga pesantemente in termini di credibilità e di fiducia. Ecco perché forse oggi si rovescia un paradigma storico del giornalismo, cioè arrivare primi sulla notizia. Forse è meglio arrivare secondi, ma con una notizia certificata: in TV è più semplice, perché ci sono i tempi canonici del telegiornale, sul web tutto diventa più difficile”.
Qualità, fiducia sono termini che ricorrono dunque ma è solo frutto del periodo che viviamo?
Abbiamo detto che diventa necessario riportare al centro la qualità della notizia garantita dalla testata e dall’editore. Se sei autorevole e certificato, le notizie cercano te: basti pensare agli user generated content (UGC), che preferiscono la notorietà tramite un sito di news autorevoli piuttosto che su un sito anonimo perché sanno di essere premiati e che la notizia non sarà dispersa nel web.
Dunque investitori e brand beneficiano di questa tensione verso la credibilità?
Certo, questo vale anche per le marche che tornano ad essere garanzia di qualità del prodotto. Mediaset da sempre supporta i messaggi dei brand la cui la catena del valore è garantita. In questo momento solo le marche riescono a tracciare debitamente i controlli della filiera fin dal chilometro zero. Abbiamo visto aziende che si sono occupate in primis dei dipendenti, chi ha riconvertito parte della propria produzione verso le produzione di mascherine. E queste sono aziende e produttori di marca che necessitano della qualità del palinsesto e delle notizie.
Andrea, per chiudere, il fenomeno della viralità delle fake news, esattamente come un virus, ha raggiunto il suo picco o dobbiamo attenderci una sua presenza ancora più massiccia?
La risposta è assai semplice: le fake news certamente non finiranno mai, ma oggi è più semplice individuarle, perché abbiamo più giornalisti e siamo più abili nel tracciarle. Il viral marketing è un concetto inserito nei libri di testo da 15 anni e fino allo scorso anno gli attribuivamo una valenza positiva. Le fake news sono congenite nel sistema, ma sarà più semplice scoprirle, mettendo in evidenza lo scopo, ovvero la redditività, il ricavo, il consenso politico a basso costo. È molto più semplice mettere un post in rete per un politico che non convocare mille, diecimila persone in una piazza per un comizio.