Dopo aver chiuso un ciclo compositivo e artistico durato dieci anni, a tre anni di distanza da "Canzoni per metà" Dente torna con un nuovo lavoro eponimo. Ed è tutto cambiato. Il "piccolo principe" del cantautorato italiano ha cambiato voce e immaginario: "Ho voluto togliere la chitarra acustica e dare il mio nome all'album per rimarcare un cambiamento, un nuovo inizio" dice a Tgcom24.
Prodotto da Federico Laini e Matteo Cantaluppi e arrangiato da Dente, Federico Laini e Simone Chiarolini, l'eponimo “Dente” è il settimo album di inediti del cantautore fidentino e rappresenta un’evoluzione importante della sua carriera discografica. Messi da parte i giochi di parole e la chitarra acustica, torna con 11 tracce dal sound ricco e maturo, contraddistinte dalla sua originalissima cifra pop e dalla sua capacità di arrivare in profondità con semplicità.
La prima curiosità è il titolo. Solitamente si dà il proprio nome al primo album, qui accade al settimo. Sa di nuovo inizio: è così?
Il titolo è la cosa fondamentale. Rappresenta bene un nuovo inizio. Un po' l'ho ragionato così. Il disco precedente era stato la chiusura di un cerchio, qui c'è la mia foto in copertina, il mio nome come titolo. ora si apre qualcosa di nuovo. Una rinascita in un certo senso, tanto che esce anche nel giorno del mio compleanno.
© Magliocchetti
Di cosa è figlia questa rinascita?
E' una rinascita figlia del mondo che ci circonda, di come è cambiato e di come sono cambiato io con lui. Poi l'età e la maturità portano anche a ragionare diversamente rispetto a prima. Aggiungiamoci una stabilità sentimentale che mi ha permesso di non focalizzare la scrittura su canzoni d'amore tristi.
Cosa unisce il tuo percorso precedente a questa nuova fase?
Il filo rosso che unisce il prima all'oggi vorrei dire che è la scrittura, ma in realtà quella è cambiata. Quindi direi che sono io, la mia identità, il mio modo di vedere le cose e trasformarle in canzoni. La sfida che volevo affrontare era cambiare la forma restando me stesso.
Si nota subito la preponderanza del piano nella scrittura e negli arrangiamenti...
Il passaggio dalla chitarra al piano è stato dettato dal fatto che avevo tante canzoni di base pianistica. Quindi ho voluto fare questo esperimento di di togliere la chitarra o non aggiungerla alle cose scritte al piano. Ho di fatto provato a togliere un pilastro e vedere che effetto faceva e ho visto che rimaneva tutto in piedi.
Una bella rivoluzione...
Mi è piaciuto anche sentire la mia voce senza la chitarra acustica. Oggi è un suono che viene usato sempre meno. Fino a qualche anno fa per un certo mondo cantautorale c'erano elementi imprescindibili: l'uso della chitarra acustica e i riferimenti a De Gregori. Adesso è sempre meno così.
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Come mai hai deciso di passare al piano?
La scrittura al piano è nata un po' per un motivo preciso e un po' è venuta da sé. Intanto avevo il desiderio di sentire una cosa nuova. E poi un po' mi si è imposta quando ho fatto lo spettacolo con Guido Catalano, in cui tutta la parte musicale competeva a me. Per creare un po' di varietà ho deciso di suonare il pianoforte, cosa che in pubblico non avevo mai fatto. Quindi ho scritto un paio di pezzi per lo spettacolo e subito dopo ne sono venuti altri.
Hai detto che la stabilità sentimentale ti ha distolto dalle canzoni d'amore tristi. E su cosa ti sei concentrato?
Ho cercato altre cose tristi di cui parlare. Mi sono guardato più dentro, ho scritto di momenti di down, sconfortanti, momenti del passato, come nel caso de "La mia vita precedente". Ma ho pensato anche la futuro, a cosa lascerò quando non ci sarò più. Ho scritto 25 brani e da questi ne ho scelti 11, che stessero bene insieme.
Quindi quelle che sono rimaste fuori potremmo sentirle in un prossimo lavoro?
Assolutamente sì. Anzi, le canzoni che sono rimaste fuori sono molto più belle! Non bisogno svelare il meglio subito, altrimenti che gusto c'è?
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