"Non ci prendono più". Tutto il mondo se lo ricorda così, Sandro Pertini, mentre fa "no" con il dito girandosi verso la gradinata della tribuna d'onore dello stadio Santiago Bernabeu di Madrid, il giorno in cui l'Italia vinse i Mondiali di calcio 1982. Un gesto semplice per una persona semplice. Ma anche forte, proprio come il suo Paese che si risolleva dalla guerra. Pertini è considerato il Presidente più amato dagli italiani. A trent'anni dalla sua morte, avvenuta il 24 febbraio 1990, ecco il ricordo del Capo dello Stato che fu combattente durante la Prima Guerra Mondiale, esule, antifascista e partigiano.
Un'altra grande immagine con cui gli italiani di ogni generazione fissano Pertini è quella dell'ormai leggendaria partita a carte con Dino Zoff, Franco Causio ed Enzo Bearzot, giocata sull'aereo di ritorno dalla Spagna con la Coppa del Mondo troneggiante sul tavolino. Una partita "persa per colpa del Presidente della Repubblica", avrebbe rivelato Zoff dopo 34 anni.
Fu proprio questo lato "nazional-popolare" la chiave del successo pubblico di Sandro Pertini. Parte dal basso, e non lo dimentica. Nato nel 1896 nel Savonese, viene inviato sul fronte dell'Isonzo e gli viene conferita una medaglia d'argento al valor militare. Finita la Grande Guerra, il giovane Sandro si laurea in giurisprudenza e si avvicina alle idee del socialismo riformista di Filippo Turati, che considera il suo "maestro". Dopo la scissione comunista e l'espulsione dell'ala riformista dal Psi, diventa uno dei promotori della costituzione del Partito Socialista Unitario, assieme allo stesso Turati, a Giacomo Matteotti e a Claudio Treves. Dopo l'omicidio di Matteotti pretende che sulla sua tessera d'iscrizione al Psu ci sia la data della scomparsa del deputato socialista.
Il suo tenace antifascismo lo costringe a dure prove. Pertini subisce ripetute aggressioni da parte dei fascisti e il suo studio di avvocato viene più volte devastato. Come ricorda l'agenzia Agi, nel 1925 è arrestato per la prima volta per aver diffuso un opuscolo clandestino dal titolo Sotto il barbaro dominio fascista. Durante l'interrogatorio, davanti al giudice, Pertini rivendica il suo gesto, assumendosi ogni responsabilità. Viene accusato di "istigazione all'odio tra le classi sociali" e resta in carcere otto mesi. La prigionia non fiacca la sua azione antifascista: viene definito dalla polizia "un avversario irriducibile dell'attuale regime" e condannato a cinque anni di confino.
L'esilio in Francia Per fuggire a una nuova cattura si imbarca per la Francia assieme a Turati. La fuga avviene con un motoscafo, che parte da Savona l'11 dicembre 1926 e arriva in Corsica. In Francia, Pertini svolge vari lavori per mantenersi, dal manovale al muratore e alla comparsa cinematografica. Nel frattempo lavora per potenziare la rete del Partito socialista e progetta un attentato a Mussolini. Il 26 marzo rientra clandestinamente in Italia con documenti falsi.
Il rientro in Italia e la nuova condanna Quando si trova a Pisa, però, viene riconosciuto da un fascista di Savona, che lo fa arrestare. Il 30 novembre 1929 è condannato dal Tribunale Speciale a dieci anni e nove mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza speciale. Durante il processo, il futuro Capo dello Stato rifiuta di difendersi, non riconoscendo l'autorità del tribunale e alla proclamazione della sentenza scatta in piedi urlando: "Abbasso il fascismo! Viva il socialismo!".
La prigionia e il confino Dall'Isola di Santo Stefano, a causa delle sue precarie condizioni di salute, dopo un anno è spostato nel carcere di Turi, dove stringe amicizia con Antonio Gramsci. Passa un altro anno e, visto che la sua salute non migliora, Pertini viene spedito nel sanatorio giudiziario di Pianosa. I suoi amici, preoccupati, convincono la madre a intervenire. La donna chiede a Mussolini di graziare il figlio e la reazione di Pertini è furibonda: "Ti considero morta per ciò che hai fatto", le scrive. Nel 1935, finita di scontare la pena in carcere, è inviato al confino, prima a Ponza e poi a Ventotene.
Una libertà conquistata a fatica Dopo 14 anni, Sandro Pertini torna a riassaporare finalmente la libertà: viene liberato il 13 agosto 1943, pochi giorni dopo la caduta di Mussolini, dal governo Badoglio. Si precipita a Roma per ricostruire il Partito socialista e viene eletto vicesegretario del Psiup. Ma la libertà dura poco. Il 15 ottobre, al termine di una riunione clandestina, Pertini viene catturato assieme a Saragat e ad altri socialisti. Vengono tutti rinchiusi a Regina Coeli e condannati a morte. La sentenza, però, non viene eseguita grazie a un'evasione rocambolesca organizzata dalle Brigate Matteotti.
La Resistenza Scampato il pericolo, dopo qualche mese, Pertini si sposta nel Nord Italia, ancora sotto il dominio tedesco, e diventa segretario del Psiup per l'Italia occupata. Nel maggio 1944 Pertini si dirige a Milano per partecipare attivamente alla Resistenza come membro della giunta militare centrale. A luglio, dopo la liberazione di Roma, viene richiamato da Pietro Nenni nella Capitale. L'11 agosto prende se parte anche agli scontri per la liberazione di Firenze. Il 25 aprile 1945, qualche ora prima della liberazione di Milano, Mussolini chiede e ottiene dal cardinale Schuster un incontro con il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
La fine di Mussolini Il futuro Capo dello Stato mette subito in chiaro che nessuna trattativa può essere avviata con Mussolini. L'unica possibilità per il Duce è una resa incondizionata. Mussolini, avvertito della posizione di Psiup e Pci, non accetta e cerca di fuggire in Svizzera. Egli viene però fermato prima di riuscire a varcare il confine e poi fucilato. Lo scempio di piazzale Loreto, però, viene condannato da Pertini: "Io il nemico lo combatto quando è vivo, non quando è morto. Lo combatto quando è in piedi e non quando giace per terra".
E' ampiamente chiaro, a questo punto, che la storia del Presidente più amato degli italiani è come un fiume che porta a valle tutto ciò che ha incontrato lungo la sua tortuosa strada partita dalle montagne. Prima di arrivare a diventare Capo dello Stato, Pertini è stato molte altre cose, attraversando (proprio come un fiume) e incarnando il Novecento italiano.
Il Dopoguerra Il 2 agosto 1945, dopo la nomina di Nenni a vicepresidente nel governo Parri, Pertini diventa segretario del Partito socialista di unità proletaria. Un anno dopo viene eletto nell'Assemblea Costituente e sposa Carla Voltolina, staffetta partigiana conosciuta a Torino. Nel 1949, Nenni lo nomina direttore dell'Avanti!, il quotidiano del Partito socialista. Nelle elezioni politiche del 2 giugno 1946 è eletto deputato nella lista socialista per l'Assemblea Costituente.
Le tappe politiche Pertini si adopera sempre a favore dell'unità del partito e cerca, senza successo, di evitare le scissioni che si susseguono dal 1947 al 1964. In mezzo si pongono altri avvenimenti importanti come il processo contro gli assassini mafiosi del sindacalista socialista Salvatore Carnevale e la protesta contro il congresso neofascista a Genova. In piena contestazione studentesca, nel 1968, arriva l'elezione a presidente della Camera. L'apice della sua carriera sembra raggiunto, ma il colpo di scena deve ancora arrivare. Nel 1978, nel pieno degli Anni di Piombo, il presidente della Repubblica, Giovanni Leone, è tirato in ballo nello scandalo Lockeed e si dimette.
Presidente della Repubblica Il Parlamento deve votare il successore di Leone, ma è paralizzato dai veti incrociati dei partiti. La pressione dell'opinione pubblica cresce e porta la politica a decidere per la candidatura di Pertini. Il comandante partigiano, l'ex combattente viene sostenuto da praticamente tutto l'arco costituzionale e viene eletto l'8 luglio 1978 con 832 voti su 995. Si tratta della più larga maggioranza della storia repubblicana. Il suo modo di intervenire direttamente nella vita politica del Paese rappresenta una novità per il ruolo di presidente della Repubblica. E' il primo Capo di Stato a dare l'incarico di formare il governo a un politico non democristiano e in occasione del terremoto in Irpinia, arriva a criticare apertamente l'operato del governo.