Anna Furlan, giovane modellista ed imprenditrice veneta, realizza su misura capi ed accessori, firmati con il grazioso nickname “Apresannette”. Le sue collezioni, delicate e originali, sono la vivace espressione di un estro creativo che affonda le radici nel DNA della designer. Arte, cultura e moda si fondono in abiti di pregio, confezionati con cura e amore, secondo i canoni dell’eccellenza artigiana Made in Italy.
Linee semplici e tagli essenziali si abbinano con gusto e raffinatezza a tessuti ricercati, dettagli stilosi, tonalità mai banali.
Abiti da cerimonia e vestiti per il vivere quotidiano portano sempre con sé quella elegante allure di una semplicità garbata e, al tempo stesso, stravagante.
Per ogni outfit una Borsina, versatile, comoda, preziosa.
Capi, unici ed esclusivi, pensati e cuciti su misura per rappresentare con equilibrio ed armonia la personalità e la fisicità della donna che andrà ad indossarli.
Chi è Anna Furlan? Quali sono le tue origini e qual è stato il tuo percorso di formazione?
Classe 1988, sono nata a Bassano del Grappa, caratteristica cittadina del nord-est, sulle rive del fiume Brenta. Mia madre è la mia musa, ha studiato all’Accademia delle Belle Arti e insegnato arte per una vita intera. Mio padre, invece, faceva il corniciaio e mi ha trasmesso la cultura artigiana del saper fare. Ispirandomi ad entrambi, ho imparato a mixare le due cose.
Da dove deriva la tua passione per la moda? Esiste un episodio significativo della tua vita che ti abbia fatto capire che saresti diventata una designer?
Mia mamma non ha mai amato le Barbie, di conseguenza ne avevo pochissime…per me, bambina, è stato un trauma! Ho passato l’infanzia a impastare e a lavorare l’argilla, dando libero sfogo alla mia creatività, ma ho sempre desiderato poter giocare con quelle bambole in miniatura. Per mia madre, tuttavia, la cultura occupava sempre il primo posto. Ricordo che ogni anno si abbonava alle stagioni di teatro, insieme abbiamo visitato mostre bellissime, fin da quando ero piccola. Ho iniziato a confezionare vestitini per le poche Barbie che avevo all’età di 7-8 anni, con una macchina da cucire piccolissima, ago e filo. Ero determinata a prendermi ciò che non riuscivo ad avere. Poi, crescendo, mi sono ritrovata a scarabocchiare quaderni e libri interi con abiti e scarpe, sino alla fine del liceo. Ho capito di voler fare la designer alla fine del 2007. Terminato il liceo classico, i miei genitori mi avrebbero voluta architetto, il giusto compromesso tra la mia vena artistica e il bagaglio di cultura acquisito. Ho così tentato, di malavoglia, il test d’ingresso senza superarlo e, l’anno successivo, ho provato quello per Design della Moda con esito positivo. È stata la mia dichiarazione di indipendenza, che ho scontato per alcuni anni, finché la mia famiglia non si è convinta che avessi le carte in regola e la giusta passione per farmi strada in quel campo. Oggi mi appoggia in tutto e per tutto. Ho frequentato lo Iuav solo due anni perché non disponevo degli strumenti necessari per competere in quell’ambiente, essendo cresciuta a pane e versioni di greco e latino…ma non mi sono persa d’animo. Dopo pochi anni, ho ripreso gli studi, diventando modellista sartoriale e dottoressa in Comunicazione, due percorsi paralleli ma entrambi indispensabili, in quanto il mio obiettivo è sempre stato quello di fare impresa nel settore moda. Dello Iuav conservo il ricordo di aver frequentato le lezioni di Milovan Farronato, ultimo curatore del Pad Italia alla Biennale di Venezia. La sua profonda conoscenza dell’arte contemporanea ha arricchito ciò che portavo con me fino alle Avanguardie. Oggi posso permettermi di spaziare in ambito artistico a 360° e nulla mi appaga quanto la visita ad un museo o assistere dal vivo ad una performance.
Quando e com’è nato il brand Apresannette? Come mai la scelta di questo nome?
Apresannette nasce qualche anno fa, quando decisi di aprire un mio profilo Instagram. Si tratta dell’unione di due parole: “Annette” è il soprannome che mi hanno dato le persone a me più vicine e che mi piace moltissimo, “après” è un’apposizione alla francese, che speravo desse un certo significato, peccato che poi ho scoperto volesse dire tutt’altro rispetto a ciò che immaginavo! È rimasto il francesismo, mi piace come suona. Il brand è venuto poi da sé. All’epoca frequentavo il corso di Internet Marketing all’Università, fu in quel momento che capii che attraverso Instagram potevo cominciare a raccontare la mia storia e quella dei miei prodotti. È stata senza dubbio una scelta felice, oggi molte persone mi chiamano affettuosamente con questo nickname.
Quali sono le cifre stilistiche delle tue collezioni?
Mi ispiro al settecento veneziano e al neoclassicismo. A questi due periodi storici devo il mio spirito creativo, essenziale per certi aspetti nei tagli, ma sempre incline alla ricerca di un’aggiunta, di un dettaglio ricco, come un pattern o un elemento decorativo. Partendo da tagli basic, mi piace ricercare tessuti ad effetto per catturare l’attenzione. Amo i tessuti naturali come la seta, i velluti, le lane pregiate, i cotoni stampati o i broccati e gli jacquard fioriti. Adoro le tinte pastello per tutto l’anno, i fili d’oro e il blu cobalto nelle mezze stagioni. Il mio colore preferito è il fucsia. Per gli abiti mi rivolgo moltissimo alla couture spagnola: gli spagnoli sono maestri nel vestire le cerimonie in modo raffinato e rituale. Abiti a tubino, maniche a sbuffo, drappeggi, stole di pelliccia…trovo tutto questo estremamente femminile. Ahimè, in Italia, non è così facile da replicare, pertanto cerco di semplificare questo stile. Ai volumi eterei delle gonne in chiffon mi piace accostare tubini fascianti e tagli più “castigati”, rispetto a quelli che vediamo in commercio sul nostro mercato. C’è chi comincia ad apprezzare... Poi lancio sempre uno sguardo verso la Francia, da cui traggo ispirazione per aggiungere alle mie creazioni quel tocco “effortless chic”. Ammiro delle nostre cugine il saper essere ricercate con poco, con un pull di lana o una camicia di seta e un paio di jeans, per esempio. È quello con cui mi sento più a mio agio anche io…e infatti una Borsina in velluto è perfetta per completare il tutto. Non serve eccedere, spesso è solo un dettaglio che fa la differenza.
Da foodblogger mancata a modellista. Che valore ha per te, al giorno d’oggi, il tailor made?
C’è stato un periodo in cui ho creduto di voler fare la foodblogger. Ero molto brava a preparare dolci, ma mi sbagliavo: non era quella la mia strada. Cucinare mi rende felice, così come trascorrere ore in cucina e ricevere ospiti, ma si tratta semplicemente di una valvola di sfogo che non avrebbe mai potuto trasformarsi nel mio lavoro. Io amo lavorare con e per le persone. Un capo su misura è molto più di un prototipo, è un passo a due che senza l’altro non avrebbe anima. Posso vestire una cliente senza averla mai conosciuta prima, captando velocemente il suo modo di essere e il suo gusto. In questa direzione sto sviluppando il mio business, nel campo della cerimonia, con la proposta di un prodotto semi-sartoriale di pregio.
Che importanza assumono per te qualità dei materiali, sartorialità e artigianalità Made in Italy?
Credo molto nel Made in Italy, anche se la situazione economica è complessa e non sempre aiuta. Per me è sinonimo di valori che orientano il modo di strutturare un’impresa. Made in Italy è un business di famiglia, dietro al nome c’è una vera identità e una storia che appassiona. È poi il gusto innato che caratterizza il nostro essere italiani, è il savoir faire che traspare dai nostri prodotti e il know-how acquisito nel tempo per realizzarli. La giacca alla napoletana, il mobile di design, l’olio extravergine appartengono tutti a un saper fare, lento e radicato nel nostro modo di vivere il territorio. Nessuno lo potrebbe replicare come lo sappiamo fare noi. Dò tantissima importanza alla qualità, scelgo con cura tessuti e componenti, perché è da essi che dipende la bontà del prodotto finale. Passo molto tempo a fare ricerca e non mi accontento finché qualità e prezzo non vanno a braccetto. Il valore artigiano è dato dalla cura con cui si personalizza il capo e, di conseguenza, chi andrà ad indossarlo. Se il cliente non è soddisfatto non si è fatto un buon lavoro. Se dovessi riassumere in una parola il mio modo di confezionare abiti, direi: “vestibilità”. In negozio il massimo che puoi chiedere è di farti accorciare un orlo o stringere il fianco del vestito, nel mio caso non è così. Ogni abito viene realizzato ad personam, va oltre gli standard e si adatta al corpo in maniera unica ed esclusiva, stringendo pence, aggiungendo centimetri oppure addolcendo uno scollo.
Oltre agli abiti, anche le borse…Quali sono le caratteristiche delle tue creazioni?
Social, abiti e Borsine vanno di pari passo dal momento in cui ho iniziato a documentare la mia storia. Il digitale è stato fondamentale per raccontare gli esordi del mio lavoro, dalle prime gonne alle Borsine, che sono nate come accessorio “chic” per spostarsi e viaggiare. La prima ricordo di averla creata per me: dovevo andare in viaggio e, al posto di comprarmene una, mi sono detta: “perché non provare a crearla?”. Da quel momento non ho mai smesso di realizzarle! Desidero che siano come un capo d’abbigliamento, in colori e texture diversi, perché possano abbinarsi ai vari momenti della giornata e ai differenti outfit, o essere semplicemente un passe-partout pratico, ma di buongusto, da portare con sé con disinvoltura. Il miglior complimento che posso ricevere è: “La uso tantissimo!”.
A quale figura femminile ti rivolgi?
A tutte le donne che vogliano indossare un pezzo unico e abbiano la pazienza di saperlo aspettare, oltre che desiderare. Donne raffinata e di classe, dinamiche e intraprendenti, cittadine del mondo. La mia, al momento, è una clientela italiana, ma mi piacerebbe poter allargare gli orizzonti, in Spagna e in Francia, per esempio.
Chi è Anna nella vita privata? Interessi e passioni nel tempo libero?
Come dicevo, sono una grande amante dell’arte, una preziosa eredità di famiglia che mi spinge a cercare bellezza e armonia in tutte le cose. Abito a due passi da Venezia, mi sento fortunata. Quando ho bisogno di staccare la spina, prendo il primo treno, scelgo un palazzo e una mostra, faccio un giro di valzer fra le calle e poi torno a casa. Mi basta poco per riordinare i pensieri ed essere felice. Non solo arte ma anche sport e montagna. Le Dolomiti sono il “buen retiro” mio e del mio compagno, la nostra seconda casa da quando siamo bambini. E poi c’è la cucina. Ricevere ospiti per me è un rito e la cura della casa è un mestiere che non mi trova mai impreparata. La mia ricetta della felicità? Fiori sempre, libri da sfogliare, candele profumate, prodotti genuini, vino buono. Non rientro mai da un viaggio senza portare con me qualcosa di tipico. Non dico mai di no ad un buon calice di vino e alla giusta compagnia, soprattutto dopo una settimana di lavoro. Pratico yoga da 8 anni, mi ha insegnato ad essere disciplinata e presente.
Cosa sogni per il tuo futuro? E per quello del tuo brand?
Come ho già sottolineato, il Made in Italy per me è innanzitutto un business di famiglia. Non prendo nessuna decisione senza consultare prima il “cda” di casa. E voglio che sia sempre così. Oggi tra me e il mio compagno, domani con i nostri figli. Sogno di diventare, nella nicchia per cui lavoro, un punto di riferimento ma anche di incontro. Il bello non è solo vendere, ma anche coltivare e far crescere le relazioni che ne derivano.