Nel 1987, i videogiochi di combattimento cambiarono per sempre. Il primo Street Fighter entrò nelle sale giochi con prepotenza, ben prima di arrivare sulle console domestiche, facendo conoscere al mondo quelle che sarebbero poi diventate un nuovo standard: le mosse speciali. Giocare oggi a quel capostipite richiede una certa dose di pazienza (sarebbe generoso definirlo “datato”), ma è innegabile che svolse un ruolo importante; a rimanere impressi nella storia non furono però solo quei colpi spettacolari, ma anche chi li eseguiva: Ryu, l’uomo dal kimono bianco, entrò a sua volta tra le leggende dei videogiochi.
I suoi due padri furono Manabu Takemura e Takashi Nishiyama, ma fu il secondo a portare sul tavolo una serie di fonti di ispirazione che determinarono l’aspetto e il carattere di Ryu (e di alcuni dei lottatori che gli si pararono davanti). Lo storico protagonista di Street Fighter deve gran parte dei suoi tratti distintivi a uno dei più famosi maestri di karate di tutto il Giappone: Masutatsu Ōyama, meglio noto come Mas Oyama, che aveva già una trasposizione di fantasia nel protagonista di un manga (animato poi a breve distanza dalla pubblicazione cartacea) di nome Karate Masters.
Fondatore dello stile Kyokushin Karate, qualche tempo dopo la fine della seconda guerra mondiale si ritirò sul monte Minobu, nella prefettura di Yamanashi, per allenare la sua mente e il suo corpo in perfetta solitudine, e lì rimase per quattordici mesi. In seguito, girò il mondo per mostrare il suo stile, con tanto di sobrie esibizioni in cui faceva svenire i tori a suon di ceffoni (ci sono pure i video sul Tubo, con un impagabile lavoro di montaggio video che rimedia a una totale assenza di effetti speciali). Non lanciava Hadouken, stando a quanto si dice, ma poco ci mancava.
Ryu, allo stesso modo, è stato sempre ritratto come un combattente votato interamente al perfezionamento di sé stesso e della propria tecnica. Al contrario del suo compare più spensierato, l’americano Ken Masters, il protagonista di Street Fighter è tormentato dal lato più oscuro del potere di cui dispone, il Satsui no Hado: è a causa di questo che in più occasioni, nel corso degli oltre trent’anni di storia della saga, abbiamo conosciuto il fantomatico Evil Ryu (versione distorta del personaggio) o, nel caso di Street Fighter V, Kage (l’ombra di Ryu, più o meno letteralmente).
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Sono essenzialmente tre le tecniche che hanno reso Ryu famoso in tutto il mondo: in primo luogo l’Hadouken, l’onda energetica azzurra (con tanto di pugnetti all’interno, almeno in Street Fighter II) che dona al karateka la possibilità di attaccare a distanza; c’è poi il mai abbastanza mal pronunciato Tatsumaki Senpuukyaku, per gli amici Tatsumaki, il calcio rotante che sfida ogni legge della fisica presente, passata e futura; infine abbiamo lo Shoryuken, un montante violentissimo... al centro di uno dei più celebri casi di mala localizzazione della storia videoludica.
Una delle frasi che accompagnavano le vittorie di Ryu in Street Fighter II, “Shōryūken wo yaburanu kagiri, omae ni kachime wa nai!” (“se non sei in grado di resistere allo Shoryuken, non puoi vincere!”), venne tradotta con un po’ troppa libertà e divenne “devi sconfiggere Sheng Long per poter avere una possibilità”. I giocatori di tutto l’occidente credettero, almeno per un po’, che si trattasse di un temuto boss nascosto, o di chissà quale altra minaccia: niente di tutto questo, naturalmente, ma l’errore diventò molto famoso col tempo ed è stato oggetto, nel corso degli anni, di più di un pesce d’aprile a tema videoludico.
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Ryu è uno dei pochi personaggi del vasto cast di Street Fighter a essere apparso in ogni capitolo, oltre a vantare un gran numero di comparsate in altri videogiochi (come nella serie crossover Marvel vs. Capcom, oppure in due delle versioni del picchiaduro Nintendo Super Smash Bros.), ma anche fumetti, anime e, naturalmente, il fantomatico live action degli anni ‘90, dove però ricopriva un ruolo secondario (all’ombra del Guile di Van Damme). Dopo trent’anni di mazzate in tutte le forme, il suo kimono bianco ancora non ha perso l’antico smalto: per Ryu la pensione sembra essere ancora molto, molto lontana.