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Brexit, lʼauto inglese destinata al tracollo?

Calano gli investimenti, a rischio 160 mila posti di lavoro

Le factory, mito dellʼauto britannica

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Tempi duri per lʼindustria dellʼauto inglese, la gloriosa tradizione delle factory che è stata la punta di diamante della manifattura britannica. Il ristagno dei mercati europei, lʼacquisizione dei marchi britannici da parte di aziende straniere e, soprattutto, la Brexit minano un settore che è trainante per lʼeconomia dʼoltre Manica.

Secondo la “Society of Motor Manufacturers and Traders” (lʼassociazione britannica che riunisce produttori e distributori di veicoli), nei prossimi 5 anni lʼindustria auto del Regno Unito perderà 42,7 miliardi di sterline, cioè più di 51 miliardi di euro. Da oggi al 2024 si venderanno 1,5 milioni di veicoli in meno e il rischio palese che molti posti di lavoro andranno persi. Uno scenario terribile per i 160 mila lavoratori del settore, privo di soluzioni perché gli investimenti dei costruttori sono in forte contrazione. Nel 2015 le aziende automotive presenti nel Paese avevano investito 2,5 miliardi di sterline, tre anni dopo si è scesi a circa un miliardo di sterline.

Una crisi che ricorda quella degli anni 80, quando le grandi aziende inglesi persero via via la loro indipendenza e finirono nelle mani dei colossi stranieri. Questi perlopiù restarono nel Paese, investendo e non portando fuori la produzione, ma oggi la Brexit cambia gli scenari e a nessuno converrebbe più produrre in Inghilterra e Galles per poi esportare nellʼUnione Europea pagando dazi e subendo limitazioni di volumi. Honda, ad esempio, ha un grande stabilimento a Swindon e ha già fatto sapere che nel 2022 lo chiuderà, mentre Toyota ha preso tempo per decidere se produrre la nuova Corolla a Burnaston, dovʼera inizialmente previsto.

Gli occhi sono ora puntati su Nissan, che a Sunderland ha il più grande e moderno stabilimento del Paese, vi produce 500 mila vetture lʼanno e impiega quasi 7.000 addetti, ma ora tutti temono che la Casa ‒ già in rotta con lʼalleata Renault ‒ possa rivedere gli impegni. MINI è lʼinglesina per antonomasia, produce le sue auto a Oxford, ma la proprietà del brand appartiene a BMW (come pure Rolls-Royce), che potrebbe ricollocare la produzione. E lo stesso vale per Jaguar Land Rover, i cui proprietari di Tata (il colosso indiano) sarebbero tentati di portare altrove le linee di assemblaggio, come già fatto per il Suv E-Pace.

E cʼè ancora un altro grosso problema sullʼindustria dellʼauto inglese: è in forte ritardo sullʼauto elettrica (come lʼItalia). Già questa comporterà una riduzione globale dellʼoccupazione: Bosch stima il 30% di posti di lavoro in meno nel settore e il 30% in meno di ore di lavoro per produrre unʼauto elettrica in confronto a una tradizionale. La Germania stima una perdita di 410 mila posti di lavoro entro il 2030, difficile pensare che voglia “salvare” gli investimenti in un Paese fuori dallʼUE intaccando quelli in patria.

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