Diodato: "Ho rotto la barriera che mi proteggeva dal mondo: la vita va vissuta fino in fondo"
Il cantautore, che sarà a Sanremo con il brano "Fai rumore", pubblica il nuovo album il 14 febbraio. Tgcom24 lo ha incontrato
A due anni di distanza da "Cosa siamo diventati", il 14 febbraio esce "Che vita meravigliosa", il nuovo album di Diodato. Prodotto con Tommaso Colliva e contenente il brano "Fai rumore", con cui Diodato parteciperà al Festival di Sanremo, rappresenta una svolta nel percorso del cantautore tarantino, "in questo album c'è tutto me stesso. Sono riuscito a superare quel distacco che mi ha sempre fatto mettere una barriera tra me e il mondo" dice.
Si può cogliere lo spirito del nuovo lavoro di Diodato già dalla copertina, opera di Paolo De Francesco: un disegno di figure retoriche quasi surrealista, dove c’è il conflitto tra l'ambizione di un tutto visibile e la ricerca di una verità nascosta nelle cose e nelle persone. È piena di ritorni alla tracklist: c’è un palazzo – alveare e una piscina di calma apparente che sta per essere sconvolta da un missile, metafora degli accadimenti, del male e del bene che sconvolgono le nostre vite. Sullo sfondo, una fabbrica che richiama nell’immaginazione di Antonio l’Ilva, lo stabilimento siderurgico che ha avvelenato Taranto, città per cui lui stesso si batte assiduamente.
Da “Cosa siamo diventati” a “Che vita meravigliosa”: cosa è cambiato e cosa sei diventato come cantautore?
E' un passaggio abbastanza lungo. Credo sia cambiato un po' il mio approccio e anche il mio desiderio di comunicare e di mostrarmi. Prima mettendomi a nudo mi sentivo molto più in imbarazzo mentre adesso sto imparando a convivere con questa "nudità". Forse ho anche fatto in modo che entrasse più luce nella mia vita e credo che questo si senta.
In che arco temporale sono nati i brani di questo lavoro?
Sono nati nel corso di due anni. Qualcuno di getto, altri hanno richiesto una rielaborazione più lunga.
Tra “Non ti amo più” e “Rumore” sembrano esserci mondi diversi. Qual è il filo conduttore dell’album?
Il filo conduttore sono io. C'è il mio sguardo romantico ma anche quello più disincantato, più cinico. E poi c'è la società, quello che mi circonda. Volevo che ci fosse tutto. Ho sempre amato gli album molto vari, come il "White Album" dei Beatles. C'è tutta la mia voglia di fare musica.
Cosa rende la vita meravigliosa?
Probabilmente viverla davvero, o almeno provarci. Sono stato per molto tempo dietro una sorta di barriera di vetro a cercare di non farmi contaminare. Poi ho sentito l'esigenza di romperla e di sporcarmi. Credo che ogni volta che decidiamo di aprirci, di fare entrare qualcuno o qualcosa dentro di noi, credo che quella sia una grande occasione e che la vita in qualche modo ti premi e si possa arrivare a dire "che vita meravigliosa".
Cosa significa essere un cantautore oggi?
E' una grande fortuna. Perché è un modo per imparare a conoscermi, crescere umanamente. La musica è una sorta di viaggio che mi permette di crescere e conoscermi.
Per te la canzone è più la fotografia di un momento o la sedimentazione di un vissuto?
Un po' entrambe le cose. Sicuramente mi piace fotografare un momento ma a volte è necessario allontarnarsi un po' da quelle cose lì. Anche per cercare di essere più obiettivi e più veri nel racconto, senza farsi influenzare dalla rabbia o dal troppo amore. Mi piace pensare che quello che racconto, soprattutto in questo album, sia qualcosa che resterà nel tempo e che durerà più di me.
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