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Videogiochi: dilaga la moda dei "gamer della terza età"

Secondo uno studio, la cerchia degli ultra 50enni sta diventando una nuova fascia di giocatori accaniti, tra puzzle game e dispositivi mobili

IGN

I dati parlano chiaro: l'universo dei videogiochi si sta espandendo a macchia d'olio. E gli utenti coinvolti in questo processo non sono soltanto bambini e giovani ma anche adulti che hanno superato da un pezzo la linea degli "anta". Lo rivela uno studio americano secondo cui negli ultimi tre anni, il numero di utenti di età pari o superiore a 50 anni che giocano regolarmente ai videogiochi è aumentato, dal 38% nel 2016 al 44% nel 2019.

I dati fanno parte di un sondaggio dell'AARP, organizzazione americana no-profit statunitense che si occupa della tutela di anziani e pensionati, il quale ha identificato 1.664 giocatori su un campione di 3.737 intervistati di età pari o superiore ai 50 anni, in possesso di un dispositivo di gioco (telefono, computer, tablet, console) con cui giocano almeno una volta al mese.

Le donne si sono rivelate sensibilmente più attive degli uomini (rispettivamente 49% e 40%). Tirando le somme, i giocatori over 50 hanno una media di circa cinque ore di gioco a settimana: il 47% ha dichiarato di aver giocato tutti i giorni, rispetto al 40% nel 2016, e quattro su cinque hanno giocato almeno una volta alla settimana.

IGN

Il 73% dei gamer della terza età ha dichiarato di aver giocato su telefoni o altri dispositivi mobili, mentre il 47% ha utilizzato computer o laptop e solo il 13% su console. Nella classifica dei giochi più amati si piazzano in testa i puzzle game (49%), mentre i videogiochi d'azione, sparatutto e avventura in coda (5%). Alla domanda sul perché giochino, il 76% ha dichiarato di averlo fatto per divertimento,  il 67% di averli utilizzati come "palestra" mentale, mentre al 63% per il gusto della sfida, risolvere i problemi, alleviare la noia e ridurre lo stress.

In totale, l'AARP ha stimato che gli adulti dai 50 anni in su hanno speso circa 3,5 miliardi di dollari in giochi nel 2019 e il 13% ha confessato di aver persino sviluppato una sorta di dipendenza da essi.

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