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Cannabis coltivata in casa, ecco i paletti della Cassazione

La sentenza della Suprema corte stabilisce una serie di condizioni e limiti, come l'uso concesso esclusivamente alla persona che si occupa delle piante. Vietato il consumo di gruppo e l'utilizzo di strumenti di precisione

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È un via libera sottoposto a molte condizioni quello contenuto nella massima di diritto della Cassazione sulla 'depenalizzazione' della coltivazione domestica delle "piante stupefacenti" in generale, e non solo alla cannabis. Ad esempio, l'utilizzatore del prodotto "homemade" può essere solo la persona che materialmente si dedica alla cura delle piante e non è ammessa la destinazione anche a eventuali componenti del nucleo familiare, o il consumo di gruppo. 

Inoltre, le piante devono essere coltivale solo con "tecniche rudimentali", tipo il buon vecchio innaffiatoio, per cui già la presenza di un impianto di irrigazione a goccia può far venire i sospetti sullo spaccio. Per non parlare del possesso di eventuali bilancini o strumenti di precisione per pesare in grammi: assolutamente vietati.

Altro elemento importante è la mancanza di riferimenti alla quantità di Thc contenuta nella pianta. Per la cannabis "legale" la norma prevede un tetto dello 0,6% contro il 5-8% di quella "illegale" ma anche di quella coltivata dallo Stato per scopi terapeutici. Per la Cassazione, invece, chi la coltiva in casa per uso personale non è perseguibile, a prescindere dal livello di Thc.

"Il reato di coltivazione di stupefacenti - avverte la Cassazione nel suo preambolo  - è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nella immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente".

Inoltre, sottolineando che il quantitativo di prodotto stupefacente ricavabile dalla coltivazione domestica deve essere "modestissimo", i supremi
giudici danno una indicazione molto 'tranchant'  che prescinde dal concreto 'livello' drogante
e da qualunque riferimento ad altri parametri come quello della salute pubblica e del mercato della droga che pure erano presenti nel quesito sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite, qui di seguito riportato.

"Se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, - chiede alle Sezioni Unite l'ordinanza di rimessione 35436 della Terza sezione penale - a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l'attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato".

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