Se oggi Donkey Kong ha ancora un posto riservato nel grande parcheggio delle stelle e stelline di Nintendo, lo si deve non solo a Shigeru Miyamoto, che lo concepì all’inizio della sua carriera. A ridare lustro al nome dello scimmione, di fatto il primo “cattivo” della storia di Nintendo, è stata anche la grande scommessa della stagione natalizia del 1994: Donkey Kong Country.
Non se la passava particolarmente male, Donkey Kong, fino a quel punto. Eppure la sua appariva più come una pensione dorata e anticipata. Dopo i clamori in sala giochi, nelle conversioni e nei primissimi anni del NES, il primate si era dovuto sostanzialmente fare da parte. L’epoca dorata del NES aveva visto salire alla ribalta il suo Jumpman (Mario), poi Zelda e Link, Metroid e Kid Icarus, solo per rimanere all’interno delle scuderie Nintendo. Scoccata l’ora della generazione a 16 bit, il nostro è indiscutibilmente un pezzo d’arredo lasciato in cantina dal proprietario precedente.
La fase di rilancio passa prima attraverso Donkey Kong, una riedizione e rivisitazione fantastica e inattesa del coin op di oltre dieci anni prima. Serve a Nintendo per mantenere alta l’attenzione sul Game Boy e per dimostrare le potenzialità del Super Game Boy, l’adattatore che, in combutta con il Super Nintendo, pennella di colori i giochi della console monocromatica. Molto prima del Game Boy Color. Ed è proprio su quel Donkey Kong, per la prima volta presentatosi in ufficio con una cravatta, che nasce Donkey Kong Country. Curiosità: leggenda vuole che il premio produzione del giovane designer di Donkey Kong, quel Miyamoto già citato, fosse corrisposto alla libertà di non dover più indossare alcuna cravatta sul posto di lavoro.
Donkey Kong Country è la storia di una Nintendo che si rinnova, volente o nolente. Il suo racconto e i suoi tratti specifici si attorcigliano con quello che sarà il filo conduttore del futuro del gruppo di Kyoto. Da una parte c’è un’etichetta inglese celebre nell’ambito microcomputer, con qualche interessante exploit in zona console, è Rare. Dall’altra ci sono le visioni avveniristiche delle stazioni Silicon Graphic. Rare ci gioca da un po’, Nintendo sta già discutendo da un pezzo con Silicon Graphic, partner prescelto per Project Reality, il futuro Nintendo 64.
Il risultato è un gioco di piattaforme che è tra i primi a utilizzare una tecnica basata su elementi 3D registrati e rielaborati da stazioni di calcolo futuristiche, in modo da poter essere utilizzati, in un ambiente bidimensionale, anche da hardware decisamente più modesti. Come quello del Super Nintendo. Nasce così il gioco che riesce in un colpo solo ad asservire più scopi. Donkey Kong Country deve rilanciare Donkey Kong, deve distrarre il mercato che sta assistendo alla calata della generazione a 32 bit (PlayStation di Sony e Saturn di Sega), lasciando tempo e modo a Nintendo di lavorare sulla sua prossima console. Poi, caso mai, potrebbe anche occuparsi di lanciare nell’olimpo degli intoccabili questi venti ragazzi britannici che si occupano del progetto.
Il successo arriva e i numeri sono indiscutibili: Donkey Kong Country, preceduto da una campagna pubblicitaria senza precedenti per Nintendo, vende milioni di copie e si fissa nella testa di una generazione come uno tra i migliori giochi di piattaforme di sempre. Etichetta che si potrebbe discutere ampiamente, a ben vedere. La splendida realizzazione grafica e l’incredibile colonna sonora si muovono su di un altro piano rispetto a un level design piacevole ma tutt’altro che leggendario… e piuttosto distante dai Super Mario World che erano già stati e che sarebbero stati.
Dettagli di cui non tenere conto, perché intanto Nintendo si è già comprata il 49% di Rare, Donkey Kong Country ha ridato valore alle azioni dello scimmione, il Super Nintendo combatte e vince un'altra stagione natalizia e Rare inizia a capire che la sua storia deve ancora conoscere i capitoli più entusiasmanti.