Rischio caos

Onu: la Libia non è un porto sicuro

Sempre più complicata la situazione in Libia, Di Maio: il rischio maggiore è il terrorismo. E le Nazioni Unite avvertono: "Siamo preoccupati per il deterioramento della situazione dei diritti umani"

Doveva essere una irresistibile marcia su Tripoli, una rapida conquista della capitale in 48 ore, quella del generale Khalifa Afthar partita il 4 aprile 2019. Una guerra lampo contro il presidente Serraj che però continua da otto mesi e ha già ucciso 284 civili soprattutto a causa degli attacchi aerei. La denuncia è nell’ultimo rapporto dell’Alto Commissario dell’Onu per i Diritti Umani, in cui si legge nero su bianco: "Non è un porto sicuro". Di Maio: "Il rischio maggiore è il terrorismo".

Raid anche su ospedali, su aree densamente popolate e contro i centri di detenzione migranti. Come quello a Tajoura che nel giugno scorso ha fatto strage di 53 persone tra i quali sei bambini. Il rapporto Onu denuncia l’incapacità, o la non volontà, delle autorità di Tripoli di contrastare gli abusi delle milizie che gestiscono questi centri. Percosse, bruciature, torture coi cavi elettrici, violenze sessuali e infine le esecuzioni sommarie con l’obiettivo di estorcere sempre più soldi alle famiglie. "La Libia non è un porto sicuro" conclude il rapporto Onu. 

Il paese è nel caos e la guerra si farà sempre più sanguinosa dopo gli aiuti militari richiesti a paesi stranieri dalle due parti in conflitto. E fino a ora rimane inascoltato l’appello Onu a questi paesi perchè rispettino l’embargo sulle armi. Serraj ha ammesso di aver chiesto armi a tanti paesi, inclusa l’Italia. A rispondergli positivamente è stata solo la Turchia di Erdogan che ieri ha ribadito di “rimanere a fianco dei fratelli libici finchè la pace non verrà ristabilita”. E la situazione potrebbe peggiorare nelle prossime ore quando scadrà l’ultimatum di Haftar contro le milizie di Misurata alle quali il generale ha intimato di lasciare la difesa di Tripoli e Sirte.

Di Maio: il rischio maggiore è il terrorismo - In Libia è in corso una "proxy war", una guerra per procura, con un forte rischio per la presenza di "cellule terroristiche". Così Luigi Di Maio, durante la visita ai militari italiani impegnati nella missione Onu nel sud del Libano. "Lo schema - ha spiegato il ministro degli Esteri - è simile a quello della Siria, ma in Libia la questione non è tanto il rischio dei profughi, ma quella legata al terrorismo e al rischio di cellule terroristiche".