A 40 anni dall'uscita di "London Calling" il richiamo dei Clash dura ancora oggi
L'album uscì il 14 dicembre 1979 e rese leggendaria la band guidata da Joe Strummer. Ancora oggi viene ricordato come uno dei migliori nella storia del rock
"Quando sei arrabbiato distruggi sempre le cose che ami" disse Paul Simonon a proposito della leggendaria foto in cui spacca il proprio basso durante un concerto al Palladium di New York, usata per la copertina di "London Calling", terzo disco dei Clash. Pubblicato dalla band inglese 40 anni fa, il 14 dicembre 1979, è rimasto una pietra miliare imprescindibile nella storia della musica, capace di mischiare generi diversi filtrati dal punk, venato da una forte attitudine politica e coscienza sociale.
In un'Inghilterra agitata tra malcontento, insoddisfazione, problemi di lavoro, sogni da dimenticare, gioventù senza speranza, violenza in aumento (con un governo che dava la colpa di tutto a un nemico che veniva da fuori, guarda caso, proprio come oggi, 40 anni dopo in epoca Brexit), la rivolta bianca del quartetto formato da Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon era partita nel 1977 con la pubblicazione del disco omonimo, in piena esplosione del punk. L'anno successivo era arrivata la mezza delusione di "Give'em Enough Rope", che aveva raffreddato il loro fuoco iniziale, con una produzione forse troppo indirizzata al rock che piacesse negli Stati Uniti.
Nel 1979 in Inghilterra il punk aveva esaurito la sua carica dirompente. Fu un altro anno di svolta perché buona parte della scena aveva capito la necessità di un'evoluzione. Si iniziò a parlare di post-punk, con gruppi come i PIL di John Lydon (chiuso il capitolo Sex Pistols dopo la morte di Sid Vicious a inizio anno), Joy Division, Cure, Police. E i Clash capirono questo cambiamento e lo fecero loro.
Joe Strummer, secondo le parole della moglie Lucinda Mellor, credeva "nell’arte come comunicazione universale, qualcosa che potesse unirci tutti". L'Inghilterra si voleva chiudere al mondo, mentre nell'idea dei Clash il nuovo album "London Calling" voleva parlare a tutti, essere il più universale possibile, sia nelle sonorità che nei testi. E per questo si apriva con la frase della canzone omonima "Londra chiama le città lontane".
L'album segna un deciso scatto nella carriera degli stessi Clash. La fine della classica punk band e l'inizio di un nuovo suono rock aperto alle contaminazioni, che avrebbe influenzato non pochi artisti e generi nati successivamente. Terminato il primo tour americano (Pearl Harbour ‘79), il quartetto si chiude in un’officina riconvertita in sala prove. D'altronde il loro primo disco terminava con una canzone che parlava chiaro: “We are a garage band, we come from garageland”. In questo luogo prendono vita le diciannove canzoni del terzo disco (quello della verità), che troveranno posto nei due vinili venduti al prezzo di uno solo, su precisa indicazione della band.
Il disco avrebbe dovuto chiamarsi "The Last Testament" e all’ultimo fu ribattezzato "London Calling", come la canzone che lo apre, Dentro ci sono generi diversi che si fondono e confondono: pezzi punk classici, il rockabilly della cover "Brand new cadillac" (di Vince Taylor), spunti reggae ("Rudie Can’t Fail", "The Guns of Brixton", la cover Revolution Rock" ), il jazz tanto caro al batterista Topper Headon ("Jimmy Jazz"), lo ska (della cover "Wrong 'Em Boyo"), la dolcezza new-wave di "Lost In The Supermarket", gli echi latino-americani ("Spanish bombs").
L'importanza dell'album non è solo legata all'aspetto musicale, ma anche ai contenuti, anche perché l'impatto dei Clash sotto il profilo politico è stato sismico (David Bowie dirà che i Clash “hanno trasformato il punk in un movimento politico serio”). E infatti i testi sono perlopiù di protesta, tra ribellione, storia (la guerra civile spagnola) e fantasmi che incombono sulla società contemporanea (consumismo esasperato, frustrazione che porta alla violenza, droga, guerra perenne nelle strade e repressione violenta).
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