A 50 ANNI DALLA TRAGEDIA

Strage di Piazza Fontana, il figlio di una delle vittime a Tgcom24: "Un onore la presenza di Mattarella accanto a noi"

L'esponente dei familiari Carlo Arnoldi: "La sua partecipazione ci fa sentire uno Stato finalmente vicino. Chiediamo solo di non dimenticare i nostri padri, uccisi 50 anni fa nel cuore di Milano"

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Carlo Arnoldi aveva solo 15 anni nel 1969, quando suo padre Giovanni morì dilaniato dalla bomba che esplose in piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre. Con lui persero la vita altre 16 persone. A 50 anni dalla strage Carlo guida l'Associazione familiari delle vittime e per la prima volta in mezzo secolo nel luogo della tragedia arriva, per la  commemorazione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. "Per noi è un grande onore", dice Arnoldi a Tgcom24.

Una presenza importante, quella che segna il cinquantesimo anniversario, con il Capo dello Stato a Palazzo Marino per il Consiglio comunale straordinario in cui si ricordano le persone rimaste uccise in quell'esplosione, alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, mezzo secolo fa, in un attentato messo a segno dai criminali dell'estrema destra.

"Sapere che accanto a noi c'è il Capo dello Stato è un segnale di grande valore", dice Arnoldi. "Dal 2005, l'anno della sentenza della Cassazione, sono stati molto pochi i rappresentanti dello Stato che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza. Per noi quindi avere accanto quest'anno Mattarella è un grande onore, che ci fa sentire meno soli nella tragedia che ci ha colpito.

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La strage che diede il via alla strategia della tensione e segnò l'inizio degli Anni di Piombo in Italia resta ancora oggi impunita, con uno Stato spesso lontano. C'è qualche spiraglio di luce in questo groviglio di sangue e violenza?

"Voglio ricordare la grande umanità che ci dimostrò, alla cerimonia del 2018, il presidente della Camera Roberto Fico. Ricordò accanto a noi i nostri cari e chiese scusa a nome dello Stato per i depistaggi, per gli errori, per la mancanza di giustizia in un processo di importanza vitale non solo per le famiglie delle vittime ma anche per l'Italia intera".

Cosa ha significato per voi quell'intervento? 

"Quello di Fico è stato un atto di solidarietà e di vicinanza, ma anche di coraggio. E' venuto in piazza accanto a noi rischiando di prendere i fischi degli anarchici. In realtà poi, in quella giornata di un anno fa, tutto si svolse in un dolore composto e misurato. Ma il pericolo che la cerimonia degenerasse c'era, eccome".

In tutti questi anni invece si sono succeduti, cerimonia dopo cerimonia, tanti inviti, tante promesse, ma anche tanti "posti vuoti" nei banchi in cui sarebbero dovute esserci le autorità dello Stato. Quali sono i vostri ricordi?

"Il politico di turno disertava e mandava il suo messaggio di commemorazione. Tante belle parole che si leggevano davanti alla folla e rimanevano lettera morta per tutti noi. La presenza di Fico l'anno scorso e quest'anno di Mattarella per noi significa molto. A noi non interessa la politica, interessa lo Stato".

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A cosa si dovevano tutte queste diserzioni?

"Quella strage ha causato grandi divisioni nella Milano degli anni Sessanta. La pista subito seguita è stata quella degli anarchici, con i sospetti che caddero inizialmente su uno degli esponenti principali di quella fazione in quegli anni, Giuseppe Pinelli, subito arrestato e trattenuto in questura, dove morì precipitando da una finestra nella notte, in circostanze mai chiarite. Ancora adesso in piazza Fontana ci sono due targhe che ricordano la sua scomparsa: quella degli anarchici con la scritta 'ucciso innocente' e quella del Comune che parla di un 'innocente morto tragicamente'. Un tragico errore, quello dell'incriminazione di Pinelli, che ancora oggi divide la città".

Anche i protagonisti della storia?

"Assolutamente no. Noi familiari delle vittime andiamo nelle scuole a ricordare quella strage con la vedova Licia Pinelli, con le figlie Claudia e Silvia. C'ero anch'io quando, alla commemorazione del quarantennale al Quirinale, il presidente Napolitano riconobbe commosso l'innocenza di Pinelli davanti alla moglie e lo definì 'la diciottesima vittima della strage'. 

Ricordando la tragedia, il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Poniz ha parlato di "parti delle istituzioni repubblicane che hanno pervicacemente ostacolato l'accertamento della verità, quando non cospirato al suo occultamento e finanche alla costruzione artificiosa di una verità falsa". Cosa significano oggi per voi questi 50 anni di depistaggi?

"Oggi abbiamo la verità storica. Sappiamo che Franco Freda e Giovanni Ventura, di Ordine Nuovo, furono i mandanti di quella strage. La sentenza del 2005 della Cassazione nel 2005 ha ribaltato l'assoluzione della Corte d'assise d'appello e fatto chiarezza sulla verità dei fatti. La condanna è solo storica per la precedente assoluzione. Ma per noi oggi è importante ricordare. Sappiamo che abbiamo raggiunto una verità storica e non giudiziaria. Ma questo ci basta. L'importante oggi è non dimenticare le vittime".

Proprio alle 17 vittime sono state dedicate le targhe disposte dal Comune di Milano  in piazza Fontana, con i nomi dei morti, l'età, la residenza e la professione. Che sensazione danno quei nomi e quelle foto?

"E' bello vederli lì, dove sono scomparsi quel giorno - dice ancora Arnoldi -. Lì dove sono state disposte le 17 targhe, tanto tempo fa,m quelle persone si incontravano, discutevano, lavoravano, Vedere oggi queste incisioni, i loro volti, i loro nomi, per me significa in qualche modo far rivivere tutte quelle persone. Che devono restare per sempre nella nostra memoria. E nella memoria dell'Italia intera". 

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Cosa resta oggi di suo padre?  Lui era commerciante di bestiame e quel giorno era venuto a Milano per concludere alla Banca Nazionale dell'Agricoltura la vendita di una cascina. A dire la verità, non doveva andare a quell'appuntamento perché non stava bene, aveva la febbre, ma la telefonata di un cliente lo convinse a cambiare i programmi e a mettersi in auto per raggiungere la banca". I suoi familiari non lo videro mai più. "Ricordo ancora il silenzio irreale il giorno del funerale - dice il figlio -, quando i passi di chi portava le bare risuonavano in una quiete di morte sul selciato del Duomo. Un momento che non voglio dimenticare. Per mio padre e per tutte le vittime".