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Super Mario Land: l’idraulico ai tempi del bianco e nero

Oscurato solo in parte dal successo planetario di Tetris, il debutto di Mario sulla prima console portatile della storia fu comunque epocale

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Può esistere un gioco di Mario, nel senso di un’avventura vera a base di piattaforme, senza che al timone del progetto ci sia Shigeru Miyamoto? Dopotutto è Miyamoto che ha di fatto creato il personaggio e il concetto alla base di quello che diventerà un genere e un modo di intendere i videogiochi. A oggi si ricorda un solo capitolo delle peripezie salterine dell’idraulico "giapponese" che ha voluto o dovuto smarcarsi dalla supervisione del suo abile papà: Super Mario Land.

I tempi sono assolutamente non sospetti. È il 1989 e Nintendo sta per riempire i negozi del Giappone e poi del Nord America con la sua ultima scommessa, il Game Boy.

Siamo di fronte alla prima, vera, console portatile. A un sistema di gioco “da passeggio” che consente di sostituire i giochi, a differenza dei vecchi Game & Watch (gli “scacciapensieri”, sempre realizzati da Nintendo). Miyamoto ha già guadagnato posizioni ma non è ancora il deus ex machina di buona parte degli sforzi creativi del colosso di Kyoto. Al suo posto si ritrovano, peraltro, due pesi massimi come Gunpei Yokoi, in tutto e per tutto il superiore del giovane Shigeru, e il suo braccio destro Satoru Okada.

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Super Mario Land deve rispondere a una prima, ovvia, necessità: convincere il pubblico a comprare il Game Boy. Dev’essere il gioco che renderà irresistibile il mattoncino bianco e magenta di Nintendo. Il ruolo gli viene poi "scippato" da Tetris, il fenomeno mondiale che farà da perfetto partner criminale della console portatile, quasi da diventarne la forma d’espressione più essenziale e al tempo stesso compiuta.

Il gioco di Yokoi e Okada non se ne fa un cruccio, impegnato com’è a esplorare altre direzioni. La popolarità di Mario sul finire degli anni ’80 sta crescendo seguendo i ritmi di un tredicenne in ottima salute ed è ancora una materia ampiamente malleabile. A tal punto che Super Mario Land mette l’eroe coi baffi alla ricerca di una principessa mai sentita prima (Daisy, anche lei al debutto), in un mondo che non è quel Regno dei Funghi tipico della serie, si chiama Sarasaland e prevede alieni e astronauti.

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Quando però c’è da giocare effettivamente, Super Mario Land si riscopre piuttosto tradizionalista e non poteva essere altrimenti. Tolti alcuni passaggi costruiti seguendo i dettami dei classici sparatutto a scorrimento orizzontale, il resto dei mondi prevede un’infornata dietro l’altra di livelli in cui si corre da sinistra verso destra, saltando e riducendo ai minimi termini Goomba e altri nemici.

Con una manciata avara di power up, i boss alla fine di ogni gruppo di schemi, i segreti e le monete da intascare. È un vero Super Mario, ma in miniatura. Così come il Game Boy era una vera console, ma in miniatura.

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Super Mario Land dà vita a una serie che si ferma su Game Boy, con tre capitoli. L’ultimo dei quali ha il merito di aver presentato al mondo la nemesi di nome e di fatto del nostro: Wario. Ma questa è un’altra storia, come dicono quelli bravi.

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