OSTAGGI IN SIRIA

Domenico Quirico:"Non so se Assad usò gas"Il giornalista racconta i giorni della prigionia

Clamorosa rivelazione di Pierre Piccinin, il belga rapito assieme all'inviato de La Stampa: "L'attacco chimico in Siria non fu opera del regime". Il racconto del sequestro: "Domenico subì due finte esecuzioni. Abbiamo tentato due volte la fuga, ci hanno ripreso e punito duramente". Ma sull'attacco con i gas Quirico smentisce

© Ansa

Domenico Quirico, il giornalista de “La Stampa” liberato domenica dopo essere stato rapito in Siria non ha perso tempo e si è messo subito al lavoro. In un lungo articolo ha ripercorso i 152 giorni della prigionia e ha smentito le dichiarazioni del suo compagno di cella, l’insegnate belga Pierre Piccinin che dopo la liberazione aveva rivelato: “Assad non ha usato i gas”.

Trattati come bestie – “Durante la prigionia – racconta Quirico – siamo stati trattati come bestie per 152 giorni. I rapinatori ci hanno picchiato sostenendo di essere uomini della polizia del regime. Nei giorni successivi invece abbiamo scoperto che si trattava di ferventi islamisti che pregavano cinque volte al giorno”. Ma le botte non sono state l’unico patimento per il giornalista. “Non c‘era nulla da mangiare – continua Quirico . I rapinatori ci davano gli avanzi dei loro pasti e poi c’erano solo delle pesche che essendo giugno erano ancora lontane dalla maturazione. Ci siamo nutriti schiacciandole e mangiando la parte più interna e il nocciolo”.

Cinque mesi senza scarpe – Durante la prigionia la vita del giornalista è stata totalmente stravolta dal volere e dai diktat dei carcerieri: “Sono stato cinque mesi senza scarpe, camminando a piedi nudi – racconta Quirico - per cinque mesi ho vegetato, cinque mesi in cui mi è stata succhiata la vita ed è stata sostituita con qualche cosa di artificiale”.

Umiliazione quotidiana e l'aiuto della fede – “Nella mia vita, nel mondo occidentale, non ho mai provato cos’è l’umiliazione quotidiana nelle cose semplici come il non poter andare alla toilette, il dover chiedere tutto e il sentirsi dire sempre di no. Credo che c’era una soddisfazione evidente in loro nel vedere l’occidentale ricco ridotto come un mendicante”. Con queste poche righe Quirico ricorda i giorni della prigionia. Giorni in cui soltanto la sua fede in Dio è stata in grado di aiutarlo: “La mia è una fede semplice, la fede delle preghiere di quando ero bambino. La mia fede è darsi, io non credo che Dio sia un supermercato, questa fede mi ha fatto sopravvivere”.  

La festa a La Stampa - Giornalisti e poligrafici, dirigenti e magazzinieri, tutti alla Stampa di Torino hanno atteso trepidanti la liberazione del collega. L'attesa dura da 5 mesi durante i quali ogni giorno sull'edizione del quotidiano era stato posto un fiocchetto giallo, simbolo della speranza di rivederlo e riabbracciarlo. Solo oggi, dopo il rilascio, al suo posto campeggia la scritta "bentornato". "Prima che partisse per il Libano, cinque mesi fa - ha ricordato il direttore Mario Calabresi che è andato a Roma per accogliere il suo inviato - gli avevo detto di stare attento. Perché tutti noi, lui compreso, avevamo la percezione che laggiù questa volta la situazione non fosse come le altre. Lui mi aveva risposto così: 'a maggior ragione bisogna andare e raccontare. Laggiù stanno succedendo cose terribili". 


Quirico: "Visto pezzo d'Italia che funziona" - Applausi e abbracci hanno accolto Quirico quando è finalmente entrato in redazione. "La prima cosa che mi sento di dire è un enorme grazie allo Stato. In questa vicenda ho visto un pezzo di Italia che funziona davvero": queste le prime parole del giornalista liberato. "Ora voglio solo abbracciare le mie figlie. Sono 152 giorni che non le vedo, e per una di loro sono 152 giorni che non la sento. Non sono stati giorni propriamente facili - ha detto ai cronisti in attesa - ma nel complesso sto bene. Mi sento solo frastornato". "Al mio collega belga di sventura, che aveva paura di essere lasciato solo dal suo Stato, ho detto: 'non aver paura, non temere. L'Italia avrà tanti difetti ma di una cosa sono sicuro: in un caso così non ci lascia soli'".

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