Subba la trovi sempre. Se ne sta immobile come una dogana proprio nel mezzo di Corso Vittorio Emanuele, con la sua vetrina ad angolo e il cortiletto-giardino che invita a fermarti, a interrompere il lento struscio lipariano e a pagare dazio. Folla al bancone, folla attorno ai tavoli sempre occupati.
Anche il tavolino sul retro, quello davanti alle casse che battono scontrini senza sosta - solitamente riservato al padrone del locale - in queste ore assolate si concede al piu’ lesto dei clienti. Un avvocato romano, occhiale scuri, capello scuro, baffo scuro. A far rumore sono i suoi amici e una bambinaglia mai doma. La situazione si complica quando provi ad attirare la distratta cameriera, una di quelle che sbagliano sempre l’ordinazione. E se gli chiedi la differenza tra una bocca di lupo e un bacio di Dama ruggisce come un Rottwailer. Subba e’ pasticceria, gelateria. Un posto dove la ricotta sbuca da ogni pertugio.
Ma Subba - soprattutto – e’ un tempio delle granite, in tutte le sue varianti: con panna o senza, con brioche o assoluta. Gelso, Mandorla, pistacchio, melone, anguria, limone. Quest’anno tira assai il gusto pesca arancio. L’avvocato romano, col naso a pelo di coppa, ne spaletta una al cioccolato, con gesti ripetuti e precisi. Sempre gli stessi. Non muove neppure un muscolo della faccia, impegnato in una sorta di liturgia del piacere. Se la granita gli piace pero’ non lo da a vedere. Subba. L’attesa fa crescere l’aspettativa. L’eco del Tempio arriva lontano, ne ho gia’ sentito parlare in continente. Chi si avvicina alle cassa paga come fosse in trance. Subba e’ un atto dovuto. Lo sanno bene le cassiere, more, ingioiellate, piacenti e compiaciute di essere – loro - le vestali devote all’incasso.
Money su money. Senza sosta, con lo smalto immacolato delle unghie che fiammeggiano danzando sui tasti del registratore di cassa. Finalmente e’ il mio momento. Stufo di contare i vassoi che atterrano su piu’ fortunati tavoli. Granita con caffe’, panna e Brioche. La piu’ classica delle complete. Gia’ pensando ai gelsi che dovranno ripulirmi la bocca e dissetarmi. Ingordo. La Brioche ha lievitazione perfetta. La panna e’ di un dolce avvolgente. Il colore della granita mantiene costante il timbro scuro del chicco tostato. Ma e’ la sua densita’ - a mio avviso - a fare difetto. Il fondo della coppa si riempie rapidamente di caffe’ freddo. Dove la panna precipita dissolvendosi in grumi. Cosi’ la Brioche alla fine devi inzupparla, come fosse un qualsiasi ciambellone nel cappuccino…
I gelsi rinfrescano a dovere. A dominare pero’ sono le bucce, fastidiose al palato e tra i denti. Le perplessita’ aumentano quando una bella normanna allontana sul tavolo la coppa ancora piena di pesca – arancio. “E’ un indecente sciroppo. Della frutta e della granita non ha nulla…”. Lapidaria e feroce. Senza alcuna possibilita’ d’appello. E ora guardandomi attorno, mi accorgo che altri volti perplessi scrutano nei fondi della coppe. Anguria, melone, mandorla. Le frutte deludono. Resiste il pistacchio. Qualcuno osserva che il gusto del cioccolato vira verso il Nesquik. Una scarica di botti taglia la testa al toro. E’ arrivato il gran momento. La processione di San Bartolo e’ gia’ partita dalla chiesa madre.
Quando si allunga sul Corso i primi fuochi richiamano tutti all’evento che si fa solenne. Bartolo. San Bartolomeo, patrono delle Eolie. Isole tanto devote all’Apostolo martire che ognuna lo festeggia a modo suo in un giorno diverso dell’anno. A Lipari il 24 Agosto si registra da sempre il tutto esaurito. Il vescovo con voce monocorde introduce la storia di Bartolo, mette in relazione la crisi dei buoni sentimenti e le impennate dello spread, richiamando i fedeli alla preghiera e ai buoni uffici del Santo. Che se ne sta dondolante, carico di offerte e di ex voto. Un Santo severo. Seduto su uno scranno, la barba riccia. Tutto d’argento, tenuto in alto sul suo trono da una torma di sfiniti fedeli. Le confraternite lo precedono disposte su due file e rasentano il marciapiede gremito di folla con un cero acceso in mano.
Dietro il baldacchino seguono le autorita’, quindi i devoti a piedi scalzi in atto di penitenza. Poi tutti gli altri. Il lungo corteo compie per due volte un lungo anello passando nella piazza di Marina Corta, accolto da altri fuochi d’artificio. Dai balconi delle case, dalle terrazze - postazioni privilegiate per seguire processione, Santo e fuochi - qualcuno lancia fiori, altri impostano un veloce segno della croce. Altri ancora osservano e commentano come davanti ad un film. Giu’ in strada e’ invece una miscela di caldo e di umido. Rincorrere il corteo o stare fermi su un marciapiede produce lo stesso effetto. Sudore, sete e voglia di fuga. Abbandono ad altri piaceri. Freschi al palato. Ristoratori. Un pensiero che trova sbocco a pochi metri da Marina Corta. Vico Morfeo. Ti ci tuffi dentro come col sonno nelle ore piu’ buie e stanche. E sei in buona compagnia. Il vicolo pullula di persone che come te hanno perso il sorriso e lentamente lo ritrovano seguendo le fiaccole rustiche e sincere disposte in doppia fila lungo il vicolo.
Sacchetti di carta appesantiti da una manciata di farina e da un lumino che manda bagliori, una morbida luce come quella di fuochi fatui. Appena pochi metri e la scena si rischiara con la forza di poderosi neon, in una piazzetta e piu’ oltre fin dentro una vetrina e un bancone. Quello di un forno, forse una latteria. L’insegna, luminosa e scarna, recita: “D’Ambra. Pasticceria”. Ai tavoli di plastica disseminati in maniera disordinata sui 4 lati dello slargo siedono famiglie, amici e amici degli amici. Tutti con in mano un bicchiere di plastica come i tavoli. Bianco come la panna che contiene. Inconfondibile guarnizione per granite. Granite. Ma anche cannoli, bomboloni, ciambelle alla crema o al cioccolato. Cassate.
In Vico Morfeo trovo l’alter ego del Tempio sperimentato in Corso Vittorio Emanuele. Qui a comandare e’ Giovanni D’Ambra. Ha la barba incolta come quella di un pescatore e veste una sgualcita parannanza da chef. Giovanni altalena tra il laboratorio, dove passa ore a montare con la frusta la panna per le granite, ed il telefono appoggiato sul bancone. Chiedono sempre di lui gli aficionados che ordinano torte e biscotti. Ma le colonne di questa Tana per golosi sono le figlie di Giovanni, avanti e dietro, senza sosta, dalle sette del mattino alle due di notte. Sorridenti e dimesse. Nessuno smalto sulle unghie, nessuna spocchia e nervosismi da stanchezza accumulata. Gestiscono le ondate di turisti e isolani con animo leggero come i bicchieri di plastica che non smettono di riempire di granita. E i clienti aspettano in fila e in piedi il proprio turno. “ A Lipari ci vengo da sette anni. Prima andavo sempre da Subba, poi ho scoperto D’Ambra e li’ non mi hanno piu’ visto”.
Il napoletano di Casoria arringa i suoi ospiti senza dubbio alcuno. “Pure i cannoli qui sono piu’ buoni”. Subba, colpita e affondata. In un angolo dello slargo ritrovo l’avvocato romano, quello con occhiali scuri, capelli scuri, baffi scuri e bambini vocianti attorno. Procede a testa china senza esprimere emozione alcuna su un bicchiere colmo di panna e granita al cioccolato. Rivedo i gesti e la concentrazione gia’ notati da Subba. Uno, due, tre. Paletta al centro e poi contenuto in bocca con la velocita’ del lampo. Figura inquietante, penso. Mentre un altro bagliore, quello argenteo della statua del Santo passa a pochi metri nel suo secondo giro del paese.
Mi rigiro e l’avvocato, cosi’, lo apostrofavano gli altri componenti del gruppo, e’ sparito. Risucchiato dalla folla, dalle litanie dei devoti e dal caldo opprimente in processione. Ma io sono ancora qui, con il fresco ghiacciato del caffe’ a ristorare la gola. Subba contro D’Ambra. Stili diversi l’un contro l’altro armati. Dove le armi sono esattamente le stesse. Se il giudizio valutasse solo la folla che si accalca nei due locali sarebbe un pari secco. Forse, alla fine, a vincere e’ la simpatia e la gentilezza che incontri in vicolo Morfeo.
Stili diversi dunque a confronto in questa scontro fra granite eoliane. Poi - se la vogliamo dire tutta - a Salina c’e’ un approdo che richiama barche da ogni dove. Si chiama Alfredo. Dispensa granite dense, dai sapori assoluti. Ma siamo gia’ in un'altra isola. E questa e’ un'altra storia.
Francesco Fossa