Una condanna sul filo del vocabolario. Tutto nasce da un colorito scambio di convenevoli tra due invitati a una festa in una villa dell’Olgiata. Era il 9 ottobre 2010, un imprenditore scorge tra i presenti una splendida quarantenne della cui compagnia si era avvalso in passato, ora “in servizio” per conto di qualche altro uomo d’affari. Le si avvicina, scattano le avances, ma lei niente: ligia al dovere, la escort rifiuta l’imprenditore, che a questo punto le scaglia addosso le parole incriminate. “È inutile che te la tiri, rimarrai sempre una battona”.
Non tarda ad arrivare una querela per il reato di ingiuria: i testimoni confermano quanto accaduto al party e il giudice di pace penale infligge all’uomo una multa di mille euro, cui verranno sommati i danni da determinare in sede civile. L’imprenditore non ci sta e trascina la donna in tribunale.
La Corte di Cassazione, tuttavia, conferma la condanna affermando nella sentenza che “l'espressione 'battona’ proferita dall'imputato è lesiva dell'onore della querelante” e che la circostanza in cui è stata pronunciata è irrilevante, considerato che la stessa persona offesa ha ammesso “l'effettivo esercizio del lavoro di escort e accompagnatrice”.
In poche parole, dare della “battona” a una escort è reato ed è tutta una questione di etimologia: battóna, s. f. [derivato di battere (il marciapiede)], romanesco – Prostituta. Lo illustra bene la Treccani, si tratta di un mestiere diverso rispetto a quello dell'accompagnatrice di lusso.
Come spiega l’avvocato della donna, Gianluca Arrighi, “la sentenza conferma il principio per cui nessuno è tenuto a subire offese generiche, a prescindere dal contesto personale, sociale o professionale”. Resta da definire il risarcimento, ma almeno l’onore è salvo.