Il solo dato di essersi socialmente ed economicamente inseriti nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione dando ragione al Viminale, guidato da Matteo Salvini quando il ricorso è stato depositato, che sosteneva che i permessi non possono essere concessi sulla base del solo elemento dell'integrazione.
E' stata dunque accolta la tesi del Viminale, allora guidato da Salvini, che sosteneva come, per concedere un permesso di soggiorno occorra comparare anche la "specifica compromissione" dei diritti umani nel Paese di origine di chi richiede il permesso di soggiorno in Italia.
Così la Suprema Corte ha annullato con rinvio al giudice di merito il caso di un bengalese che aveva avuto il permesso perché aveva trovato lavoro stabile a Firenze, e di due gambiani. Il primo lo aveva ottenuto in base al fatto che studiava all'università di Trieste e aveva buoni rapporti sociali mentre in Gambia non aveva più nessuna relazione, e il secondo - anche lui cittadino gambiano - aveva avuto il permesso di soggiorno per una generica situazione di pericolo alla quale sarebbe stato esposto nel suo paese di origine.