"You'll Never Never Know if Never Never Go", era lo slogan di uno ruspante spot di qualche anno fa per lanciare il turismo nel Northern Territory dell'Australia. Slogan che nella sua semplicità potrebbe suonare poco creativo e ai limiti del banale, ma non è così. I pubblicitari ci avevano visto giusto: per conoscere quell'immensa regione grande quanto Italia, Francia e Spagna messe insieme e popolata solamente da 200mila persone, dominata da una natura in continuo divenire e da incredibili varietà di flora e fauna che solo lì si possono ammirare, bisogna andarci. "Tu mai e poi mai ci conoscerai se non verrai mai": e come pensarla diversamente?.
Per cominciare a conoscere quest'area smisurata che si estende dalla cittadina di Darwin (capitale della regione e uno dei punti più a nord dell'Australia) fino a Uluru (o Ayers Rock che dir si voglia, nel cuore del continente) può essere il Top End, la "punta" più settentrionale del Northern Territory, un'area di circa 400mila km quadrati (per la cronaca l'Italia ne conta circa 100mila in meno...). Parlare del Top End vuol dire immergersi nella cultura aborigena, scavare fino ad arrivare alle radici della millenaria storia di un popolo intrecciate indissolubilmente con quel territorio. E il nostro viaggio non può che cominciare da Kakadu.
Un universo parallelo, dicevamo, che secondo gli aborigeni ha sei stagioni, tre essenzialmente umide e altrettante secche. Al Kakadu, se si esclude il piccolo centro di Jabiru, domina la natura. Il piacere vero, sfidando gli onnipresenti insetti, sta nelle escursioni nei vari siti del parco. I due più interessanti sono forse quello di Ubirr e quello di Nourlangie. Entrambi sono essenzialmente, a seconda della lettura che si vuol dare, una biblioteca con le pagine di pietra o una galleria d'arte a cielo aperto. Per centinaia di anni e fino al secolo scorso gli aborigeni hanno vissuto tra quelle pareti rocciose e hanno dipinto scene di vita quotidiana, animali, hanno dato vita a miti e a leggende lasciando la più indelebile testimonianza della loro millenaria storia. Ci si può innamorare del tratto artistico, inconsueto e originale, ma si può anche andare oltre e "leggere" in quelle immagini il passato di una civiltà misteriosa sospesa tra sogno e realtà.
Una delle zone più interessanti di Arnhem Land è quella di Mount Borradaile. Parlare di quest'area equivale a ricordare una bella storia, quella di Max Davidson, un "balanda", come gli aborigeni chiamano quelli che non appartengono alle loro tribù, che proprio da un aborigeno, Charlie, proprietario dell'intera area di Mount Borradaile, ha ottenuto il permesso di poter accogliere i viaggiatori in quella zona. Davidson ha "creato" il Safari Lodge, l'unica struttura presente a Borradaile. Sorge in mezzo al bush e tra i suoi ospiti fissi conta proprio Charlie, a prima vista un po' restio a scambiare due chiacchiere con i visitatori, ma solo a prima vista.
Mount Borradaile non ha nulla da invidiare al Kakadu per quel che riguarda le incisioni rupestri. Anzi, se vogliamo, mentre al Parco Nazionale ci sono dei sentieri segnati e ben delineati, addentrarsi a scoprire le meraviglie delle rocce di Borradaile è più difficoltoso ma dà maggiori soddisfazioni. Servono almeno una giornata piena, una buona dose di ant-zanzare e, soprattuttto, una guida esperta, che naturalmente Max provvede a mettere a disposizione. Addentrarsi nel bush vuol dire entrare in una farmacia a cielo aperto. Dalle foglie di alcuni alberi, ad esempio, si stacca una patina adesiva che diventa cerotto. La foresta serve ovviamente a nutrirsi, le bush potatoes sono parte essenziale dell'alimentazione aborigena. E sempre nel bush, un po' per curiosità e un po' per sfida, si può "assaggiare" la parte estrema delle formiche verdi, dal gusto un po' acido ma particolare, come fosse una caramella.
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Gli aborigeni e l'arte del sogno - Kakadu e Mount Borradaile sono certamente due tra i luoghi più suggestivi per cercare di capire la storia, la cultura e la civiltà aborigena. Proprio al parco sorge il Warradjan, un museo-centro culturale che si schiude come scrigno per spiegare le complesse dinamiche sociali che regolavano e per certi versi regolano ancora oggi questa popolazione ancora misteriosa. Accanto ai wallabies (piccoli canguri), alle tartarughe, ai "barramundi" (prelibatissimi pesci locali) e a decine di impronte di mani, i soggetti preferiti dagli aborigeni nelle pitture rupestri sono stati per secoli singolari figure umane e spiriti divini. A Mount Borradaille c'è una delle più belle rappresentazioni del Rainbow Serpent, il serpente arcobaleno, un elemento del mito che tra gli aborigeni prendeva nomi diversi a seconda della tribù che lo dipingeva. In quella zona lo chiamvano Aburgia. A Nourlangie si trova Namarrgon, l'uomo del fulmine, un'altra inquietante figura di una mitologia che vive, se così si può dire, nel Dreamtime, il "tempo del sogno".
Difficile spiegare questa dimensione onirica che per gli aborigeni è nello stesso tempo quella della creazione del mondo e quella legata al presente, un piano parallelo di comunicazione e di scoperta che si raggiunge, appunto, col sogno. Difficile spiegare ma anche difficile da capire, considerato che gli aborigeni sono gelosissimi della loro cultura: i racconti e i canti si tramandano grazie a dei custodi che badano bene a non trasmetterne la conoscenza a membri esterni ai clan. Soprattutto se bianchi, considerato che i coloni, nei secoli scorsi, hanno rischiato di distruggere la loro civiltà.
Il parco è una versione ridotta, diciamo così, del Kakadu, il bush è allo stesso modo avvolgente e i wallabies girano liberamente tra la natura. Il valore aggiunto è dato proprio dagli Jawoyn, che amano raccontare e raccontarsi, far partecipi della loro storia i viaggiatori. Certo, non aspettatevi che vi svelino misteri del Dreamtime, ma vi racconteranno della loro arte della caccia, facendovi impugnare le lance e insegnandovi la particolare tecnica per farle arrivare più lontano. Vi mostreranno il boomerang, spiegandovi che non è detto che torni sempre indietro. Vi faranno suonare -ma solo se siete uomini- il didgeridoo, l'antico strumento ricavato dall'eucalipto dal suono sordo e profondo. Vi introdurranno nella loro arte con i colori che usano dalla notte dei tempi: il giallo, l'ocra, il bianco e il nero. Alle donne mostreranno la pazienza che ci vuole per fare un semplice cesto, intrecciato e lavorato a mano per giorni, settimane, a volte anche mesi. E poi ancora come si può accendere un fuoco con un semplice bastoncino, tanta forza nelle mani e nulla più.