Rabbia o incredulità. Oppure dolore. Tanto dolore. Così reagiranno le migliaia di parenti di militari o civili di tutto il mondo caduti per mano di Al Qaeda dal 2002 al 2011. Vittime forse evitabili se un poliziotto pakistano nel 2002 in servizio su una strada della valle dello Swat avesse fatto il suo dovere. In un qualsiasi giorno di un qualsiasi mese di undici anni fa, quell’agente (probabilmente parigrado di un qualsiasi nostro vigile urbano) intima l’alt a un’automobile. Una delle tante, una che va più veloce, anche troppo. A bordo almeno tre arabi, due uomini e una donna. Sono l’uomo più ricercato sulla faccia della terra e uno dei suoi due storici guardaspalle con la moglie. Esatto: uno è Osama Bin Laden, l’altro Ibrahim a-Kuwaiti accompagnato dalla consorte, Maryam.
I tre, appena scampati al raid Usa di Tora Bora nel novembre 2001 e riparati in Pakistan, hanno lasciato il loro rifugio per andare in un mercato della zona e concludere non meglio precisati affari. Immaginiamo la scena: il poliziotto fa accostare l’auto dell’uomo che ha progettato l'11 Settembre, evidentemente non visiona i documenti e, una volta abbassato il finestrino, chiede lumi sul quel piede così pesante sull'acceleratore. Riconosce o non riconosce lo sceicco del terrore? Forse si: Bin Laden è ovunque, giornalie e tv. Forse no: Bin Laden “girava sbarbato” all’epoca. Ai posteri comunque l’ardua sentenza. Alla moglie di Ibrahim al-Kuwaiti, il compito di mettere a verbale come finisce la vicenda. “Ibrahim quickly settled the matter”. Ossia: “Ibrahim ha risolto rapidamente la questione”. Il significato è da titoli di coda di un film di spionaggio: il poliziotto viene minacciato? Viene corrotto? Oppure la peggiore delle ipotesi: non ha sofferto?
"Pakistan incompetente, da Usa atto di guerra" - Questo retroscena inedito è uno dei tanti contenuti in un dossier di 336 pagine, elaborato dalla Commissione Abbottabad espressamente messa in piedi dal Pakistan all’indomani del raid segreto Usa della notte del 2 maggio 2011 che costò la vita a Bin Laden e quattro uomini del suo clan. Islamabad non gradì, diciamo, quella libera incursione di quattro elicotteri a stelle e strisce nei cieli pakistani, all’insaputa di autorità civili e militari locali impegnati più nella decennale disputa con l’India che nella caccia al capo di Al Qaeda. Il report della Commissione è rimasto segreto fino a una manciata di ore fa quando Al Jazeera non lo ha pubblicato in formato Pdf sul suo sito. Inappellabile il verdetto del documento, redatto ascoltando 201 testimoni: “Pakistan incompetente e negligente, Stati Uniti autori di un vero atto di guerra sul suolo straniero”. Non si escludono connivenze più o meno ad alto livello tra leader pakistani e leader di Al Qaeda ma nel rapporto non se ne fa parola.
Osama col cappello da cowboy – Tanti i retroscena riportati e più o meno finiti in altre inchieste. Osama arrivò in Pakistan nell’estate 2002 e visse per tre anni nella città di Haripur con tutta la sua famiglia. Poi Abbottabad per sei lunghi anni. Più di una fonte ha raccontato di un Bin Laden che rifiutava ogni contatto con subordinati e loro familiari nel fortino di Abbottadab. Un fortino, quello dove morì Osama, che non avrebbe dovuto passare inosservato: seppure risultasse ufficialmente disabitata, la struttura era circondata da filo spinato e c'erano in essere quattro contratti di fornitura elettrica intestati ad altrettanti prestanome. Il palazzo, inizialmente su due piani, fu portato a tre dopo il devastante terremoto del 2005. La stessa Maryam ha spiegato che quando lo sceicco usciva all'aperto indossava sempre un cappello da cowboy per evitare che i droni spia Usa lo identificassero. L’uomo che ha sulla coscienza circa tremila morti nel mondo girava con tre vestiti per l’estate e tre per quando il Pakistan era imbiancato dalla neve. Nei momenti di tristezza "mangiava cioccolato e mela".