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Il primato del sergente Johnson: 2.746 vittime Le ha annotate tutte in un quaderno verde

Dillard Johnson, 48 anni, è il soldato dell'esercito americano con più vittime accertate all'attivo Per ogni nemico annientato, ha tracciato un segno di matita sul proprio taccuino

Dal Web

2.746 tratti di matita. Il quaderno verde del sergente Dillar Johnson è una cimitero di guerra, per ogni nemico caduto ha tracciato un segno, vittima dopo vittima, per duemilasettecentoquarantasei volte. Neanche scrivendolo in lettere si riesce a dare la misura di quante vite abbia spezzato il soldato che più ha ucciso nella storia dell’esercito americano.

“È triste da dire ma non sono altro che segni di matita. Non pensavo ai numeri, non è una cosa di cui vantarsi”, ha confessato Johnson in un’intervista al New York Post. Il sergente era obbligato a riportare ai superiori il numero dei morti accertati, motivo che lo ha indotto ad annotare sul proprio taccuino ogni singolo proiettile andato a segno. Solo sfogliando quelle pagine ad anni di distanza Johnson ha realizzato di essere il detentore di un primato che difficilmente esibirà con orgoglio. “Ho ucciso quando era necessario. Sono stato brutale quando dovevo e compassionevole quando dovevo. Ma non ho mai ucciso qualcuno che non stesse cercando di uccidermi a sua volta o di ferirmi”

L’abilità con le armi cresce nelle praterie del Kentucky, dove Johnson è nato 48 anni fa. Andava a caccia di cervi con il padre, il primo trofeo lo conquista a soli tredici anni con un fucile troppo grande per lui: “Il mio talento viene da lì, sparavo con un arma che non era adatta a me”, dice il sergente, abituato ad arrangiarsi come può, a sopravvivere in condizioni estreme, ad affrontare il nemico nella sua terra. Gli ultimi gradi da attaccare sulla divisa Johnson li ha collezionati nella sua seconda missione in Iraq nel 2005. Dal Medioriente tornò con 37 medaglie ma il merito, precisa il sergente, è dei commilitoni: “Mai visto un tale spirito fraterno”. Adesso si gode i suoi quattro figli al sole di Daytona Beach, in Florida, dove sta completando la propria autobiografia. Il titolo sarà "Carnivore", lo stesso nome affibiato al veicolo che comandava in Iraq.

Un proiettile conficcato nella gamba gli ricorderà per sempre il suo passato, uno dei tanti anedotti di cui non ama parlare. Come quella bandiera irachena presa dalla limousine di Saddam, come quella malattia contratta in chissà quale delle missioni svolte dal 1984 ad oggi. Linfoma di Hodgkin è sinonimo di uranio impoverito, Johnson lo sa ma non ha rimpianti: “Se non avessi usato quelle munizioni, non avrei distrutto dei mezzi che probabilmente mi avrebbero ucciso”. In estate ricomincerà la chemioterapia, il tumore che sembrava in regressione si è ripresentato a gennaio. Ma come dice il sergente citando Hemingway, "chi ha dato con piacere la caccia a uomini armati per così tanto tempo non si preoccuperà più di nient'altro, in fondo".

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