“Per me uscire sconfitto dal campo è come una morte temporanea di due giorni. Fatico a parlare”. Accadeva da calciatore. Accadeva da tecnico di Arezzo o Bari ma accade ancora oggi da tecnico campione d’Italia. C’è quasi tutto l’Antonio Conte allenatore della Juventus in questa frase. Per l’Antonio Conte uomo non bastano invece le 216 pagine de “Testa, cuore e gambe”, accattivante autobiografia per Rizzoli raccolta da Antonio Di Rosa, direttore di “Gazzetta dello Sport” e “Secolo XIX”.
Raccontando i suoi primi 44 anni tra campo, spogliatoio e vita privata, Conte sovrappone il piano umano a quello sportivo. Lo fa con intelligenza e a cuore aperto, guidato da principi e istinto. Come accadde per l’addio alla Juve e, di conseguenza, al calcio giocato quando Moggi non rispettò la parola data due anni prima e, a fine 2004, decise sì di rinnovargli un anno di contratto ma con taglio unilaterale dello stipendio. L’uomo-Conte si convinse che tredici anni di Juve (con cinque scudetti e una Champions) valessero quantomeno la parola data. Nella biografia Conte rivela che giocò la sua partita di addio alla Juve e di conseguenza, e al calcio giocato con un gruppo di tifosi bianconeri su un campo di calcetto fuori Torino con “Antonio Conte il nostro capitano” scritto sulle magliette. Niente stadi. Niente luci della ribalta.
“Testa, cuore e gambe” scorre via come un diario se il lettore ha una quarantina d’anni o più. Come un blog per chi di lustri ne ha più o meno quattro. Pagina dopo pagina, post dopo post Antonio Conte si racconta dal suo punto di vista, da uomo vissuto e allenatore ricercato da mezza Europa. Lui che come tanti ha cominciato a tirar calci al pallone in strada, con l’incubo di non far tardi la sera per non prenderle da Cosimino, suo padre. Lui che è arrivato nel calcio che conta per forza di volontà, gambe e otto palloni (più un calciatore di Terza Categoria) pagati dall'U.S. Lecce di Pantaleo Corvino alla Juventina di Cosimino Conte.
Testa e gambe
Testa e gambe hanno la meglio sul cuore quando Conte gioca a calcio. Il suo calcio è quello dell’ultimo Trap bianconero (“Non posso tradire la sua fiducia, mi alleno mezz’ora in più ogni giorno” scrive Conte), di Boniperti che telefona a casa Conte e chiede della signora Ada e Agnelli (“Scusi ma lei Conte quanti gol ha fatto quest’anno chiede l''Avvocato, la risposta è zero”). Poi il tecnico apre il libro dei ricordi e così si rilegge la storia della Juventus e della Nazionale degli Anni Novanta sotto un punto di vista personale e proprio per questo interessante e vero. Lippi, Zidane, Baggio, Vialli, Del Piero, Ancelotti, Trezeguet, Henry, Hagi, Zoff e molti altri sono gli attori non protagonisti delle memorie da calciatore di Conte raccolte da Di Rosa. Le sceneggiature si chiamano cinque scudetti, l’Ajax a Roma, l’Intercontinentale a Tokyo da spettatore, la palude di Perugia, il ko di Manchester in Champions, le due finali con l’Italia (Usa ’94 e Olanda 2000)
Testa e cuore
Le gambe lasciano progressivamente il posto a testa e cuore quando Conte diventa allenatore. La testa la fa da padrona nei trionfi in B a Bari e Siena, nella quasi salvezza di Arezzo e nel girone dantesco con l’Atalanta a Bergamo, il primo profumo di Serie A. Il cuore picchia in testa quando Conte si riavvicina alla Juve di Agnelli, quella stessa società che con Moggi lo mise alla porta nel 2004 e che nel 2009 lo lasciò a piedi preferendo esaudire le richieste tattiche del neo-acquisto Diego (“è abituato a giocare col 4-3-1-2, non vuole il tuo 4-2-4”). Stavolta il matrimonio s’ha da fare e si fa: un anno di contratto e via. Via con la storia degli ingaggi di Pirlo, Vidal e Vucinic. Via con “solo gente motivata” sotto i 38 gradi della tournee di luglio a Philadelphia. Via con il gol di Lichtsteiner nell’esordio allo Juventus Stadium contro il Parma e la seguente serie di imbattibilità. Un crescendo di testa e cuore fino al Milan-Juventus del 25 febbraio (“ho un acceso diverbio con Galliani. I toni sono aspri ma finisce lì. Matri segna un gol buono ma non viene convalidato. Poi segna e finisce 1-1"). Quindi il fiato sul collo sui rossoneri e il sorpasso. Il sorpasso e l’orgoglio dello scudetto vinto a Trieste.
Cuore, solo cuore
Non di soli calci e o di schemi vive un professionista del pallone. “Testa, cuore e gambe” non fa eccezione: il diario di Antonio Conte non prescinde dalla vita privata, dal suo incontro con Elisabetta (“Figlia del mio vicino di casa: siciliano, molto distinto, un uomo tutto d’un pezzo”) alla nascita della figlia Vittoria nel 2007. Tutto raccontato con dovizia di dettagli su sentimenti e sensazioni da compagno e papà. E solo cuore - con quanto basta di rabbia e delusione - circonda l’amaro capitolo della squalifica per omessa denuncia di un tentativo di combine ai tempi di Siena. Conte ricorda tutta la vicenda, ripercorre il travaglio umano per un’inchiesta nata male (la perquisizione a casa) e finita peggio. Infine soffre. Soffre per un ingiusto esilio dal campo che dura quattro mesi.
Quattro mesi in un box dello Juventus Stadium e chiuso in gabbia in trasferta. Quattro mesi dove solo la testa ha permesso al cuore di non cedere alla rabbia. Conte racconta il rientro in panchina a dicembre, il debutto in Champions a Glasgow a febbraio. Gli scozzesi del Celtic cantano “attraversa il vento, attraversa la pioggia e non camminerai mai solo”. Parole perfette per l’ultima pagina del diario alle quali Conte aggiunge un nota bene: “Di certo non ho camminato da solo per arrivare fino a qui”. Al suo fianco c'erano testa, cuore e gambe: in ordine sparso ma sempre presenti
ANTONIO CONTE con Antonio Di Rosa
Testa, cuore e gambe
Rizzoli - Pagine 224 - Euro 17,50