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Da The Walking Dead ai videogiochi, ecco Norman Reedus: "Un'emozione unica"

La star di Hollywood si confessa ai microfoni di Tgcom24: "Ho adorato lavorare con Hideo Kojima"

Norman Reedus è uno di quegli attori che ha un volto inconfondibile: gli occhi stretti, il sorriso sornione, una cascata di capelli lisci e l'aria lievemente sofferente, e insofferente, lo rendono indimenticabile. Così come il suo personaggio più famoso, quel Daryl Dixon che ormai da quasi 10 anni infesta gli incubi degli amanti delle serie TV con The Walking Dead, contribuendo ad averlo reso uno degli show più visti negli Stati Uniti e non solo.

Ma Norman, in realtà, è un attore eclettico, oltre che perennemente curioso e in cerca di esperienze che vadano anche al di là della semplice recitazione. È anche per questo che ha accettato la sfida di Hideo Kojima, trasformandosi in Sam Porter Bridges, protagonista di Death Stranding. Un'esperienza, dice, "emozionante e incredibilmente avvincente". Tgcom l'ha incontrato a New York per il lancio del gioco.

In tre parole come descriverebbe il suo personaggio?
 

È un solitario ma cambia costantemente durante il gioco. È più forte di tutto ed è molto sensibile ma tosto e anche triste. 

Pensa che ci sia un messaggio ecologista nel gioco? "Stiamo distruggendo il nostro mondo" e qual è la nostra speranza di salvarlo?
 

Sì, decisamente c'è un messaggio che traspare. Soprattutto al giorno d'oggi, in un mondo in cui le persone sembrano sempre più divise, è stato utile creare un gioco il cui scopo è connettere la gente. Vediamo videogame in cui l'unico obiettivo è arrivare al livello successivo, uccidere tutti quelli che ci sono nella stanza, distruggere tutte le caramelle sullo schermo, esplorare un altro edificio. In Death Stranding non ci sono livelli, si tratta di rimettere insieme le persone, persone reali che giocano magari da sole in una stanza ma che in qualche modo sono connesse le une alle altre. Si tratta di esplorare questo tipo di connessione.

Si parte con il mio personaggio che è restio a compiere questo lavoro, non lo vuole fare, vuole arrendersi. Non gliene importa niente degli altri, vorrebbe stare per i fatti suoi, non essere nemmeno toccato. Ma durante il gioco, lui cambia e il giocatore cambia con lui e diventa naturale avere delle connessioni con gli altri, farsi degli amici, anche perché tutti hanno lo stesso obiettivo. Diventa naturale aiutare le altre persone, cresci insieme al gioco. Non si tratta di aumentare di livello, si tratta di raggiungere un altro livello emotivo.

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Questo tipo di esperienza è possibile solo nei videogiochi, grazie all'interattività, o anche al cinema? 
 

Come un buon film riesce a portarti in diversi posti e a trasmettere diverse emozioni, dalla paura all'amore, così ritroviamo questi elementi nel videogioco, ma c'è una differenza fondamentale: sei tu a prendere le decisioni, sei tu dentro il gioco. Quando ho iniziato a lavorare a Death Stranding ho chiesto: "Spiegatemi, quindi l'utente giocherà con me durante il gioco?". "No no, lui sarà te". "Che diavolo significa questa cosa?". L'ho capito quando abbiamo iniziato a registrare le mie scene in motion capture.

Ero seduto che stavo aspettando gli altri attori e ho iniziato a grattarmi la testa. E mi hanno detto: "Rifallo". Oppure magari guardavo in alto annoiato e hanno cominciato a riprendermi anche in questi momenti di normalità. Hanno ripreso Norman, l'uomo non l'attore. E questo poi nel gioco traspare. Perché non hai un semplice personaggio da muovere, più ti connetti con me come persona, più spendi del tempo cercando di capire cosa mi piace, vedendomi crescere e maturare, più cambi a tua volta e il giocatore ha un'esperienza emotiva forte giocando come una persona reale in situazioni che coinvolgono anche altri.

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Che differenza c'è tra il recitare in un film e in un videogioco? È una sorta di ritorno alle origini della recitazione visto che non hai trucco, scenografia ma solo uno schermo blu o verde alle spalle?

È diverso anche dal recitare in un film di supereroi dove comunque si utilizza la stessa tecnologia. Quando ho iniziato a lavorare su Death Stranding, ho dovuto scoprire un modo nuovo. C'era un bambino di plastica per terra, lo dovevi cullare ed era morto, poi sparito, dovevo immaginare una serie di impronte che si stampavano addosso o una distesa di balene spiaggiate con della gente che galleggiava nel cielo. E ho detto: "No, aspettate un attimo, che cosa stiamo facendo esattamente, è una roba folle". Ho dovuto imparare che cosa il gioco voleva trasmettere per poterci lavorare.

Normalmente quando giri un film il regista ha le idee molto chiare su cosa devi fare e il set è piuttosto rigido. Devi immaginare che le cose stanno in un solo modo. Magari, faccio un esempio, prendo un cuscino e il regista dice "No, non puoi avere un cuscino in questa scena" perché la sceneggiatura è rigida. Con Hideo Kojima è stato diverso: se gli dicevo "Secondo me dovrei avere un cuscino in questa scena" lui rispondeva: "Un cuscino? Mettiamone quattro e portiamo anche una lampada".

Era un continuo flusso di nuove idee, un processo creativo completamente libero, uno spazio di lavoro aperto nel quale si esaltava per questa o quell'idea che gli veniva in mente. Hideo è come un bambino, curioso e con la mente aperta. Ha un entusiasmo che è contagioso, ti fa venire voglia di dire: "Adoro quest'uomo". È una mente super brillante.  

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Tra i temi del gioco ce n'è uno che ti è particolarmente vicino, quello del viaggio: tu hai anche uno show "In viaggio con Norman".

Sì, è vero. Ma credo che sia sempre anche e soprattutto un viaggio interiore. Daryl in The Walking Dead comincia come un solitario. Respinge tutti, non vuole nessuno intorno, sembra dire "avvicinati e ti accoltello". Ma poi la gente che gli sta intorno comincia ad avere fiducia in lui e lui si trasforma. Diventa l'uomo che è grazie alle altre persone.

Sam Porter Bridges in Death Stranding compie lo stesso percorso: parte rintanato in se stesso e arriva al punto in cui tutti contano su di lui. Non so se sia merito di Hideo Kojima o della sceneggiatura, ma c'è molto di me stesso in questo gioco così come c'è molto di me in The Walking Dead o in Ride. Credo che proprio questo sia il punto: prendere le cose vere di una persona e trasportarle su di un palcoscenico.

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