Sono passati oltre dieci anni, ma quei dieci minuti chiuso nella cella che ospitò Nelson Mandela restano scolpiti nella mia coscienza. Robben Island è la Cayenna del regime bianco e razzista che ha governato il Sudafrica fino alla fine dell’apartheid nel 1994. Un’’isola piatta come una sogliola, dodici chilometri a largo di Cape Town, che ospitava il terribile carcere dei prigionieri politici. Mandela ci fu tenuto prigioniero per ben 18 anni e questo dà l’idea della grandezza di un uomo che quando uscì di prigione disse: "Siamo un unico Paese, dobbiamo perdonare".
Oggi la sua ex galera è diventata monumento nazionale e sono i vecchi detenuti che fanno da guida dentro i lunghi cunicoli del carcere. Ovviamente è la visita alla cella di Mandela il momento clou del tour. Quando fu il mio turno, mi fecero entrare da solo, con la scusa di sperimentare di persona quanto angusta fosse. E d’improvviso chiusero la porta dietro le mie spalle. Non me l’aspettavo. Poi se ne andarono lasciandomi lì, solo, nel silenzio.
Dieci lunghissimi minuti in cui ebbi modo di sedermi sul tappeto grigio che lui usava come letto e di guardare quelle spoglie pareti, grigie anch’esse. Allargando le braccia si potevano quasi toccare le due estremità dei muri. E mentre ero lì che pensavo alla sofferenza di un uomo chiuso in quel ripostiglio una sottile inquietudine si faceva largo piano piano nella mente: e se si dimenticano di me?