Sarà capitato a molti di voi di incappare – nel luogo dove abitate - in interventi comunali, assolutamente inutili, di manutenzione stradale, di giardinaggio, di arredo urbano, di edilizia pubblica, di acquisizione di partecipazioni in aziende statali o ex statali. Per esempio l’ennesimo rifacimento della pavimentazione di una piazza che in realtà sta benissimo così com’è. Oppure la costruzione di un ambulatorio pubblico destinato ad abortire da subito per mancanza di personale. Oppure la piantumazione di un giardino che scoppia di salute o la potatura assolutamente superflua – e fuori stagione - del patrimonio arboricolo… E poi spartitraffico inutili, piste ciclabili appena abbozzate e lasciate a metà o ponteggi infiniti su monumenti storici preclusi alla vista per anni interi. Insomma comportamenti degli enti locali – per dirla con linguaggio legale - certamente non "da buon padre di famiglia".
Eppure è proprio al buon padre di famiglia che lo stato chiede di tirare la cinghia, di imporre ai suoi figli e a sua moglie, i sacrifici per finanziare un rilancio dell’economia che appare sempre piu’ lontano. A lui chiede di pagare l’Imu, le addizionali Irpef (comunali, regionali e provinciali), le addizionali locali del bollo auto, gli aumenti della raccolta della spazzatura (Tares), l’Irap e chi più ne ha più ne metta. Tutti soldi che finiscono in gran parte a regioni, comuni e province. Che li sprecano. E’ assolutamente intollerabile sentire poi il loro il pianto greco sui tagli agli asili, all’assistenza sanitaria, ai trasporti urbani ed extraurbani per il mancato o ridotto introito di alcune spettanze - lievitate nel tempo fuori misura - senza che i cittadini ne abbiano tratto mai alcun beneficio. Anzi. Contrariamente all’agire del buon padre di famiglia, gli enti locali continuano a moltiplicare i centri di spesa (municipalizzate e partecipate), a fare debiti insostenibili, a evitare accuratamente di recuperare crediti loro dovuti, a costruire varianti, rotatorie, commende, a speculare su junk bond nella speranza di ripianare con ardite operazioni di borsa i passivi accumulati: un po’ come se il nostro “buon padre di famiglia”, dopo aver pagato le tasse, cercasse di far quadrare i conti di casa giocando al videopoker…
In altre parole la politica dei sacrifici vale per tutti ma non per gli enti locali. Se il buon padre di famiglia taglia il bilancio di casa, perché non lo fanno regioni comuni e province? A loro - oltretutto - riuscirebbe molto più facile perché immensi sono i rispettivi fronti degli sprechi. Se non fossero in grado di farlo (o non volessero farlo) si impone un atto di forza dello Stato per ricondurli alla ragione, ovvero una bella spending revue. Perché il governo non l’affida ai prefetti? La loro presenza e funzione è ormai da tempo messa in discussione dalla svolta federalista del nostro assetto statale. Decidere come tagliare le spese di quella macchina ingorda che sono diventati gli enti locali, recupererebbe a un ruolo e ad una responsabilità importante coloro che si fregiano del sottotitolo di “servitori dello Stato”, oggi ridotti a ritirare e sospendere patenti, a tagliare nastri, a presiedere locali Rotary o Lions, a commissariare sperduti comuni in odore di mafia o camorra. A noi servono cani da guardia che costringano tutti a comportarsi da buoni padri di famiglia. Anche le regioni, le province ed i comuni. E i prefetti sono uno strumento che già esiste e non comporterebbe alcun aggravio di spesa.
Mario De Scalzi