Lo definiscono "rapper cantautore", ma Willie Peyote è uno di quei talenti che superano le etichette. Al quarto lavoro in studio, per il quale ha coniato il neologismo d'impatto "Iodegradabile", il musicista torinese conferma il suo talento e sposta le definizioni di genere un po' più in là. Lo abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare come si vive questo momento nell'attesa di partire con il tour a febbraio.
Ecco la nostra chiacchierata con Willie Peyote.
Willie, ci sono già stati degli assaggi di turnée negli store e avete appena aggiunto una serata a Milano, il 19 novembre. L'hype è molto alto, con alcune date sold out. Come saranno i vostri show dal vivo?
Finora sono state esibizioni in piccolo, ma con l'avvio del tour - di cui a Milano ci sarà già un bell'assaggio - la band sarà al completo. E stiamo preparando una scaletta tutta da ballare. Io dico troppo parole nei miei pezzi e capisco che la gente abbia voglia di cantare, ma mi piacerebbe che ballasse. Mi piace che tornino tutti a casa sudati e che si siano stancati anche un po’. Più in generale, non so come vivere l’hype, in realtà mi crea un po’ di ansia da prestazione sapere che ci sono così tante aspettative riguardo a quello che faccio, ma del resto viviamo nell’epoca dell’hype, quindi mi sto abituando.
Il tuo nuovo disco "Iodegradabile" - anticipato dal singolo "La tua futura ex moglie" - ha mantenuto le promesse ed è già un gran successo. Come stai vivendo questo momento?
Prima che un disco esca, penso sempre che se avrà il favore della critica poi non piacerà al pubblico, ma stavolta siamo riusciti a trovare una quadra per tutto. Io cerco sempre di soddisfare le aspettative, più la gente si aspetta qualcosa da me, più cerco di essere all’altezza delle aspettative.
E' un lavoro molto ricco sia dal punto di vista musicale che dei testi. Cosa vorresti che arrivasse di più di quello che scrivi?
La capacità di metterci in discussione, di avere dei dubbi, eventualmente di cambiare idea. In un’epoca in cui è tutto diviso a compartimenti stagni, è un costante palio di Siena tra tifoserie avversarie su qualunque argomento. Mi piacerebbe che le persone facessero un passo indietro e si facessero qualche domanda in più, invece di avere tutte queste certezze
A quali certezze fai riferimento?
Tutti prendono posizione sui temi più disparati magari senza nemmeno essere bene informati, dai vaccini allo ius soli, passando per i flussi migratori, è come se si parlasse di calcio tutto il tempo, come se tutti fossimo allenatori di calcio. Mi spaventa un po’ che tutti abbiano voce in capitolo su ogni questione. Dovremmo tornare a un’epoca in cui chi sa parla e chi non sa ascolta
Nei tuoi pezzi non hai paura di parlare di attualità. E nel testo di "Mango", l'ultimo singolo estratto dall'album, la tua forza polemica è parecchio ispirata: l'omaggio al cantante italiano è un'invettiva potente contro il disimpegno...
Io parlo di politica ma non faccio discorsi partitici. La politica fa parte di noi e influenza tanti aspetti della nostra vita. Se non parli di politica vuol dire che non sei interessato alla tua stessa vita, Ritengo che la vita sia troppo breve per non prendere posizione, per non impegnarsi a cambiare il mondo, ognuno come può. Non dico che dobbiamo diventare tutti Greta, ma almeno avere lo slancio a voler partecipare. Non vorrei scomodare il maestro Gaber, ma la “libertà è partecipazione”. Vorrei che tutti fossimo meno impauriti di dire la nostra, quando la nostra posizione è impopolare. E’ facile prendere posizione quando tutti sono d’accordo con te. Abbiamo visto l’anti salvinismo di facciata che ha aiutato solo a vendere i biglietti...
A quale tuo collega fai riferimento?
Si dice il peccato ma non il peccatore.... (ride, ndr)
In questo album confermi una volta di più la tua capacità di giocare coi suoni e gli arrangiamenti in una miscela perfetta in grado di sostenere un flow che si snoda tra cantato e rappato. Quali ascolti ti hanno maggiormente influenzato?
Se la musica è ben suonata il merito è tutto dei ragazzi con cui lavoro. Per il resto, sono cresciuto con artisti che facevano crossover, dai Red Hot Chili Peppers, ai 99 posse, ai Subsonica. Se dovessi sceglierne uno su tutti, senz'altro Daniele Silvestri che ha sempre fatto belle canzoni con temi profondi. Un nome lui. Ho imparato da tutti, anche da quelli che poi non sono diventati i miei ascolti prediletti
Delle cose del momento apprezzo Marracash e in particolare il suo ultimo album. Musicalmente siamo molto diversi, ma abbiamo tanti tratti in comune. Nelle sue interviste sento parecchia vicinanza, per come gestisce certi momenti di down o certi meccanismi mentali. Rivedo in Massimo Pericolo quella sensibilità che si nasconde dietro a tanto cinismo
Quanto ti ha influenzato da ragazzino seguire tuo padre che suonava nei locali?
Mi ha permesso di avvicinarmi a un mondo che mi ha fatto capire fin da subito che volevo fare questo nella vita, che quella era la mia strada: salire e scendere dai palchi, fare i viaggi in furgone, stare in sala prove, ma ho imparato a scrivere e a fare effettivamente questo lavoro solo dopo. Quella parte lì della mia vita mi ha aiutato a capire dove volevo andare. Poi il mestiere l'ho imparato studiando. Ho ascoltato tantissima musica per prendere spunto, ma il mio obiettivo era creare qualcosa di originale. Se fai una cosa che fanno già gli atri, sarà molto probabile che gli altri siano più bravi di te. Mi soffermavo su tutto ciò che mi colpiva cercando di capire perché. E capire come fare ad andare oltre.
Parli spesso di amore, sicuramente in modo originale...
Cerco di cambiare un po’ il registro rispetto alla musica leggera italiana che è sempre infarcita solo di buoni sentimenti e di storie a lieto fine, poi la vita non va esattamente così e quindi non vedo perché dovrei raccontare una storia a lieto fine quando non ne conosco una. Non sono una persona contraria all’amore, anzi. Magari mi fa un po’ paura perché tende a finire, ma non ho mai avuto paura come in questo disco di dire di essere innamorato. Cerco di parlarne in maniera meno didascalica o scolastica. Tutto quello che scrivo è autobiografico.
Quanto coraggio ci vuole a mettersi così a nudo?
Dagli artisti noi ci aspettiamo questo. Vogliamo che abbiano la forza di dire le cose che noi non riusciamo a dire. Non ho più paura di dire quello che penso. Non mi sento coraggioso. Non ho più paura né di me stesso né del giudizio degli altri anche perché il giudizio degli altri non sarà mai severo come il mio.
In questo album Torino, la tua città, è più sullo sfondo, ma sempre presente. In che misura influenza la tua scrittura?
L’educazione sabauda è parte di me. Ha significato e tuttora significa prendersi poco sul serio, eppure essere sempre seri sul lavoro. L'ho appreso anche dalla mia famiglia Il lavoro nella mia famiglia è importante. Mi piace lavorare. Non ho paura di far fatica. Ma ho la fortuna di fare un mestiere che mi piace. Miro sempre a migliorarmi, ma sono già contento così perché ho realizzato gran parte dei miei sogni. Se penso al ragazzino adolescente che voleva fare questo nella vita ho già soddisfatto le sue più rosee aspettative.. .
Qual è l'emozione più forte che hai vissuto sul palco?
Ogni volta che ho riempito un locale a Torino, dal più piccolo al più grande e ho sentito di dare voce ai pensieri di qualcun altro senza farlo apposta sono stato felice. Quando ci si riconosce per caso è una bella sensazione.