Con Death Stranding, Hideo Kojima vuole combattere l'odio sui social: "È il momento di riconnetterci"
Lo storico "regista dei videogiochi", già creatore di Metal Gear Solid, confessa a Tgcom24: "Spero prima o poi di incontrare Dario Argento"
"Un regista italiano che ha segnato la mia vita? Sicuramente Dario Argento". Hideo Kojima, forse il più talentuoso tra gli sviluppatori di videogiochi contemporanei, strizza l'occhio al maestro italiano dell'horror. "Spero di incontrarlo la prossima volta che verrò in Italia". Ma soprattutto lancia un messaggio ai videogiocatori: basta odio anche sui social, è il momento di ritornare a connetterci con gli altri.
E, per farlo, va bene anche un videogioco. Perché ci sono libri, film, album musicali, graphic novel che, a un certo punto, irrompono sul mercato con la forza di un uragano. Sono divisivi, a volte dirompenti, sempre difficili da accettare, come tutte le opere d'arte forti, quelli che gli americani definiscono " game changer": un prodotto che cambia letteralmente le regole del mercato e, perché no, quando si parla di creatività, le coordinate artistiche di un settore.
È presto per dirlo, ma Death Stranding ha tutte le carte in regola per esserlo. La nostra recensione ha cercato di evidenziare quali siano queste caratteristiche, ma sarà solo il pubblico a stabilirlo. Pubblico che da mesi si è preparato al lancio del gioco per PS4, trasformando Death Stranding, ancora prima della sua uscita, in un fenomeno social.
Merito, o colpa, del suo ideatore, Hideo Kojima, considerato, a torto o a ragione, una sorta di Steven Spielberg dei videogiochi, a causa anche del suo forte legame con Hollywood. Amico intimo di Guillermo del Toro, che compare anche come attore nel gioco, dai tempi della sua serie più fortunata, Metal Gear, regala un connubio unico tra cinema e videogame, sia da un punto di vista estetico, sia da un punto di vista concettuale.
Tgcom24 l'ha incontrato durante la presentazione di Death Stranding, a New York dove erano presenti anche altre delle star che compaiono nel gioco, da Norman Reedus a Troy Baker, da Tommie Earl Jenkins a Lindsay Wagner, mitica Donna bionica del serial degli anni Settanta.
In Death Stranding compaiono tematiche importanti come la vita, la morte, la vita dopo la morte ma credo anche un forte messaggio sociale: vivete come comunità, non come singoli. Che cosa voleva far trasparire con questa opera?
Ho sempre provato la sensazione di essere da solo, magari a volte perché senti che vivi in un posto orribile e sperimenti questo tipo di solitudine. E capisci che probabilmente è un sentimento condiviso da molte persone in giro per il mondo. Credo che queste persone abbiano la tendenza a giocare molto e quando giochi da solo, ti senti solo.
Di sicuro in Death Stranding la storia e il tuo personaggio portano avanti la missione solitaria di connettere il mondo, ma a un certo punto sperimenterai la sensazione di non essere più da solo, perché come te ci sono molte altre persone che stanno giocando allo stesso modo. E allora al mattino, quando ti svegli, sentirai un po' di sollievo perché hai scoperto che in giro c'è molta gente come te che sta facendo le stesse cose e sentirai una sensazione positiva.
Spero che questi giocatori possano in qualche modo svegliarsi più bendisposte, delle persone migliori. Questo è il messaggio chiave che Death Stranding vuole portare: siate più gentili.
Death Stranding ha un messaggio ecologista? Perché nel gioco sembra che uno dei concetti chiave sia la tendenza dell'uomo all'autodistruzione.
Non parlerei tanto di autodistruzione, più che altro è un processo evolutivo. L'uomo è un animale e si è differenziato dagli altri quando ha cominciato a camminare su due zampe. A quel punto aveva le mani libere e le poteva utilizzare. Per prima cosa creò un bastone che usava per allontanare i pericoli. Poi creò la corda che serviva per raccogliere e legare insieme le cose. E così aveva il bastone e la corda e con quelle creò l'inizio della civiltà come la conosciamo noi. Al giorno d'oggi, abbiamo una corda che è Internet che con una serie di nodi connette tutti e dovrebbe rendere tutti felici e invece quello che accade è che l'uomo continua a usare il bastone per combattere online, sui social.
Così in Death Stranding ho pensato di creare qualcosa di totalmente diverso che avesse al centro il concetto della corda. Le mani, nel gioco, sono una sorta di icona. Quando le apri e le unisci, hai una stretta, una sorta di comunicazione mentre se le chiudi, hai un pugno e con la stessa mano puoi usare violenza. E allora la mano diventa una una metafora: è sia corda sia bastone, ma anche il pollice può essere all'insù o all'ingiù e così in Death Stranding le mani sono il vero mezzo di comunicazione.
È una sorta di gioco contro l'odio online?
Più che un avvertimento è un gioco che vorrebbe far ripensare a come ci si comporta online
I videogiochi sono per loro natura interattivi, l'interattività è stata un limite o un'opportunità in Death Stranding?
È un gioco che riguarda il connettere i punti, da A a B. Dove sono questi punti da connettere, non si può cambiare, fa parte del flusso della storia. Ma tra un punto e l'altro, ci sono infinite possibilità. Credo che questo sia il concetto di "open world", di mondo aperto. Sta a te decidere se evitare i cattivi, se attraversare e in che punto un fiume, come arrivi dal punto A al punto B lo rende completamente un gioco open world, sei completamente libero ma non puoi cambiare quello che accadrà a livello narrativo. Ho cercato di creare un equilibrio tra una sceneggiatura forte, una storia avvincente e la libertà di poter andare avanti nel modo in cui uno preferisce.
Ti faccio un esempio: hai deciso di andare da Londra a Parigi e poi a Milano. Questo è quello che hai deciso che accadrà, ma come andrai da una città all'altra, lo deciderai tu: puoi prendere la macchina, l'aereo, camminare, è una tua scelta. La meta è sempre la stessa, cambia il viaggio.
Ha sempre avuto una forte impronta cinematografica, quali sono i suoi registi preferiti e se ce ne sono, quali fonti di ispirazione tra gli italiani.
Ho sempre avuto una sfrenata passione per il cinema, ho visto migliaia di film che sono entrati a far parte di me, come una sorta di energia positiva al punto che non potrei dire quali registi o pellicole mi abbiano segnato di più. Ma se devo trovare un italiano, posso dire che Dario Argento ha sicuramente cambiato la mia vita.
Come giapponese magari potrà sembrare strano, ma ho visto tonnellate di film italiani, da Fellini a De Sica fino agli Spaghetti Western, così come ho letto molti libri italiani che mi hanno influenzato. Ma Dario Argento è quello che più mi ha segnato, sono un suo grande fan. I miei genitori non volevano che guardassi i suoi film perché troppo spaventosi ma a me non importava, li guardavo lo stesso.
Come mai in Giappone c'è una scuola autoriale e invece in Europa o in Usa non c'è? Nel senso: se pensiamo a un videogioco giapponese è spesso il gioco di Hideo Kojima, di Yoko Taro, di Ueda, di Sakaguchi, mentre se pensiamo a uno Occidentale, è più facile che sia quello di Electronic Arts, Ubisoft, Activision.
Hai ragione, è vero ma anche in Giappone le cose stanno rapidamente cambiando e il volto dell'autore si vede sempre meno perché si tende a creare i videogiochi al modo occidentale. Un po' quello che accade anche nel mondo del cinema dove il regista lascia sempre di meno la sua impronta artistica sulla pellicola.
È un po' una sfida tra indipendenti e blockbuster, io voglio essere nel mezzo e prendere le cose positive di entrambi questi mondi. Capita che alcuni giochi molto autoriali siano venduti magari solo in Giappone e partano con un budget basso. Ma quando cercano di proporsi all'estero, di diventare prodotti internazionali, perdono un po' l'anima dal direttore creativo, la sua impronta sparisce lentamente. Più il progetto diventa grande, più il volto creativo scompare, vale anche per i giochi occidentali.
A proposito di Occidente, le prime recensioni sono positive. È soddisfatto dell'accoglienza di Death Stranding da parte della critica?
Devo dire che il gioco ha ricevuto delle recensioni entusiastiche, soprattutto in Europa e in Giappone. Qua negli Stati Uniti, invece, abbiamo avuto critiche più forti. Forse è un gioco difficile da capire per un certo tipo di critica e di pubblico. In America ci sono molti appassionati di sparatutto in prima persona (fps) e molti di loro sostengono che Death Stranding sia un gioco differente, forse per questo non hanno messo voti molto alti.
Io cerco sempre di creare cose nuove e vanno bene le controversie, le discussione, però c'è da dire che gli italiani o i francesi hanno una sensibilità diversa che permette loro di apprezzare questo genere di prodotti molto originali, non sono nei videogiochi ma anche nel cinema.
Lei ha lasciato una grande società giapponese per fondare uno studio indipendente con il quale ha realizzato Death Stranding. È più la libertà oppure sono maggiori le responsabilità? Cosa pensa delle nuove console e delle possibilità che offriranno?
Qualcosa è cambiato ultimamente, anche nei videogiochi. La più grande sfida per me nell'avere uno studio mio è stato quello di dovermi occupare anche dei miei dipendenti: quello che creo influisce direttamente nelle loro vite, ho la responsabilità di diverse persone e questo ha cambiato il mio modo di pensare e di valutare le cose e il tempo a mia disposizione. Io continuerò a creare grandi giochi, ma nei prossimi cinque anni lo streaming avrà sempre più importanza e ci sarà spazio anche per progetti più piccoli che fanno parte delle arti visive e del mondo digitale magari in altre forme.
Di sicuro sono interessato a questo tipo di attività e ho ricevuto molte offerte di questo genere, ma io voglio soprattutto concentrarmi nel continuare a creare giochi che abbiano qualcosa di diverso. Per me è importante inventare sempre qualcosa di nuovo, di originale. Credo che questo sia il mio contributo e il mio posto nel mondo.
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