"La violenza nei confronti delle donne è un problema degli uomini". Spiega così la dottoressa Monica Dotti, responsabile del centro "Liberiamoci dalla violenza" di Modena, l'idea di creare il primo servizio pubblico per il "recupero" degli uomini violenti. "Non esiste l'orco: chi picchia la fidanzata, la moglie o la compagna è una persona "normale", quello del "non lo avrei mai detto"".
"Il centro - spiega a Tgcom24 la dottoressa Dotti - nasce nel 2011, sul modello dell' Alternative To Violence di Oslo, per aiutare le donne: allontanare una vittima di violenza dal suo carnefice è sicuramente un aiuto valido e immediato, ma non elimina il pericolo. Quello stesso uomo infatti potrà potenzialmente fare male ad altre donne. Curarlo significa invece eliminare del tutto il pericolo".
Chi è il paziente tipo del vostro centro?
"L'unica cosa che li accomuna è l'uso della violenza. Per il resto non esiste uno stereotipo: gli uomini che picchiano mogli e fidanzate non hanno caratteristiche particolari e per la maggior parte non sono violenti in altri contesti. Al nostro centro abbiamo pazienti che vanno dai 26 ai 65 anni: dall'operaio al manager. Possiamo però dire che nessuno si sente l'uomo violento di cui ci legge sui giornali. Sembra sempre un problema che riguarda altri e che alla fine tendono a minimizzare: "Ho tirato due schiaffi... Se avessi voluto farle veramente male.. ecc".
Cosa scatena la violenza?
"Generalmente la violenza si esercita in relazioni significative: gli uomini sono spesso in difficoltà ad entrare in contatto con la propria gamma emotiva e quando sentono di non avere controllo, reagiscono con modelli aggressivi. La violenza li fa sentire capaci di "controllare". La prima cosa che cerchiamo di far capire ai pazienti è infatti che quella che loro ritengono una perdita di controllo, in realtà è agire una forma di controllo: non a caso quando raccontano delle violenze dicono che era "l'unico modo per farla smettere di..." parlare, lamentarsi, chiedere o altro".
Come lavora il vostro centro?
"Innanzitutto al centro si arriva solo e unicamente su base volontaria. Con chi decide di portare avanti un percorso con noi, sottoscriviamo un contratto che prevede fra l'altro la possibilità di contattare il partner o i serivizi sociali qualora lo si ritenga necessario. Dopo di che si inizia a lavorare sulle motivazioni del gesto e si cerca di arrivare all'assunzione delle responsabilità. Generalmente gli episodi di violenza fisica terminano molto velocemente. Poi si passa a "indagare" la storia personale dell'uomo e infine si affronta il problema del riconscimento delle conseguenze verso compagne e figli".
I pazienti del centro sono seguiti da tre psicologi, volutamente uomini per cercare di limitare il più possibile le fonti di imbarazzo. Anche la sede, un consultorio familiare, è stata decisa per non stigmatizzare ulteriormente una situazione già delicata. "La violenza è una scelta - spiega Paolo de Pascalis, psichiatra in forza al centro - noi possiamo aiutare a fare un'altra scelta. Non è un gesto impulsivo sul quale non si ha potere, ma è un comportamento e come tale può essere modificato".
Cosa succede quando un uomo arriva a rendersi conto di quello che ha fatto?
"Generalmente - spiega il dottor de Pascalis - appena dopo l'episodio di violenza c'è un pentimento, anche vero e sincero, ma un attimo dopo si ha una deresponsabilizzazione: "Dovrebbe sentire mia moglie quando parla, sembra una mitragliatrice... Mi pento, ma mi si è chiusa la vena". Altra cosa è quando si prende veramente coscienza di quello che si è fatto nel corso del percorso che facciamo: quando gli uomini entrano in empatia con il dolore della compagna è un momento molto emotivo, spesso condito con tante lacrime".
A prescindere dai diversi rapporti di forza prettamente fisici, perché la violenza è quasi sempre degli uomini sulle donne?
"E' una questione essenzialmente culturale. L'uomo è portato a fuggire le fragilità: e questo fa sì che ci si allontani da tutta una sfera di emozioni che, quando si incontrano ed esplodono, non si sanno gestire. Basti un esempio: se si va a un parco gioco e si vedono dei bambini giocare, quando un maschietto cade e si fa male, cosa gli viene spesso detto? "Dai non piangere, sei un ometto...". Ecco il cambiamento culturale potrebbe iniziare anche dalle piccole cose, anche da questo".