Era partito maluccio questo Festival, imballato, poco fluido e ulteriormente appesantito da un interminabile Maurizio Crozza decisamente fuori forma, al di là dei contestatori e delle contestazioni portatrici insane di polemiche inutili e sterili. Poi, alla distanza, è venuto fuori un altro Sanremo, probabilmente quello che Fabio Fazio, Luciana Littizzetto e gli autori avevano immaginato: ironico, scattante, musicalmente ambizioso, insomma uno show capace di reggere per oltre tre ore senza frenesia ma con ritmo, cercando di evitare di cadere nella noia.
Da "Quelli che il calcio" ad "Anima mia", fino ad arrivare a "Che tempo che fa", Fazio ormai ricalca uno schema che -cosa rarissima, neanche fosse una tempesta di meteoriti- riesce a mettere d'accordo pubblico e critica. Uno schema che fiorisce con la ricerca della qualità attraverso quello che di più popolare la cultura riesce a offrire e con l'elevazione della memoria collettiva a soggetto e hon più a oggetto. Il nazional-popolare che mai era stato digerito da Pippo Baudo, nella mani e nella testa del conduttore ligure muta geneticamente e, come ha scritto qualcuno, anche linguisticamente diventando Fazional-popolare. Fabio insomma cerca di accontentare tutti, dalla casalinga di Voghera all'hipster, dai fan della melodia e dei talent-show a quelli dell'indie-rock.
E se con gli anni questo buonismo culturale si è un po' stancato e ha stancato, all'Ariston è stata la Littizzetto a dare la scossa. Il risultato è stato una Casa Vianello all'ennesima potenza, magari senza il garbo e l'ironia sottile dell'originale, ma dirompente, accesa. Non dimentichiamo Elio e le Storie Tese, se questo Festival verrà ricordato sarà anche merito loro. I numeri, alla fine hanno ragione a Fazio & Co. con ascolti di tutto rispetto, robe da livelli record se paragonati a quelli degli ultimi dieci anni.