trenta opere esposte

Boetti e la sua Roma colorata d'Oriente

Al Maxxi un percorso tra opere conosciute e inedite, dalla fuga da Torino agli ultimi anni

© Ufficio stampa

Alighiero Boetti al Maxxi di Roma in una mostra curata da Luigia Lonardelli aperta fino al 6 ottobre. Un'esposizione che spiega il rapporto tra l'artista e la comunità capitolina che lo ha accolto dopo la fuga dalla sua città natale. "Ho scoperto a posteriori che a Torino non usavo mai i colori. Forse percepisco il troppo rigore della città mentre qui a Roma ho capito la bellezza di fare molto, di fare più rapidamente, di allargare, di facilitare". Il poliedrico artista spiegava così le ragioni del suo radicamento nella capitale dopo il trasferimento avvenuto nei primi anni Settanta.

L'esposizione che comprende 30 opere, tra le quali diversi inediti e lavori rari come l'imponente "Poesie" con il Sufi Berang, prende in esame il particolare rapporto che ha legato Boetti a Roma, e come la sua personalità abbia influenzato gli artisti della capitale.

Viene messsa in luce la speciale relazione con l'Oriente, fondamentale per il riemergere di una nuova sensibilità coloristica nel corso degli anni Ottanta. "Una città che diventa per lui il trampolino per l'ignoto e ispirazione per nuovi percorsi creativi". Boetti aveva "l'illusione che Roma fosse già Palermo e Palermo già Il Cairo", secondo la sua compagna Annemarie Sauzeau. "Un Boetti diverso, eccentrico, che fa del trasferimento nella capitale un momento importante della sua ricerca, un momento in cui entra, improvvisamente, il colore", commenta Giovanna Melandri, alla sua prima uscita ufficiale come presidente della Fondazione Maxxi.

È a partire dal 1972 che Boetti scopre una Roma caotica e brillante, contraltare prepotente di una grigia e glaciale Torino da cui decise di fuggire. Nella capitale incontra centinaia di persone ma soprattutto diventa amico di Luigi Ontani e Francesco Clemente, anche loro “stranieri a Roma” e anche loro affascinati dall'Oriente che in quel periodo drammatico della storia italiana, rappresentava quasi un luogo dove trovare pace e conforto,un luogo vissuto e allo stesso tempo costruito ed immaginato. L'accostamento di opere realizzate negli anni recedenti, come "Rosso Palermo" del '67 o "Mimetico" del '68, rende evidente come il trasferimento a Roma segni, nel lavoro dell'allora trentenne Boetti, un cambio di tendenza, che si espleta nella pura esplosione di colore che caratterizzerà le opere degli anni più maturi.

"Il colore c'era tutto - sottolinea la giovanissima curatrice Luigia Leonardelli - ma dopo l'arrivo a Roma tutto questo si è liberato". Esposti ci sono quindi due splendidi esempi delle "Mappe" che Boetti disegnava nel suo studio romano e poi mandava a ricamare in Afghanistan, una del 1971-73 ricamata su lino, l'altra del 1984 su tessuto. “Faccine” un lavoro realizzato a quattro mani nel 1977 con la figlia Agata, che allora aveva cinque anni. Il dualismo, espressione di una delle costanti della sua ricerca e della sua biografia, e il tema del raro con “Clessidra, cerniera e viceversa” realizzato strappando un testo manoscritto a partire dal centro e rivoltando il foglio in quattro lembi.

Non mancano i tappeti, ideati nel 1993 e pensati come una sorta di testamento dove si riassume tutta la sua iconografia. E due grandissime carte, le "Orme" (I e II) che il figlio Matteo ha appena concesso in comodato alla collezione del Maxxi. Per aiutare a comprendere l’eclettico Boetti viene proiettato un video realizzato nel 2004,un opera creata nell'amato Afghanistan da Jonathan Monk: l'occhio della telecamera, che Monk mise in mano ad un afghano come Boetti affidava le sue opere alle mani delle ricamatrici, indugia sull'acqua color lapislazzuli dei laghi di Bandi a Mir, il luogo incantato dove Boetti avrebbe voluto venissero sparse le sue ceneri.

Al MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo
via Guido Reni, 4 A
00196 Roma

Dal 23 gennaio al 6 ottobre


Sullo stesso tema