Esiste un momento preciso in cui il cambiamento cessa di essere quantitativo e diventa qualitativo. Quando il ghiaccio si trasforma in acqua. Quando l'economia smette di essere gestita dagli umani per diventare qualcosa di diverso: un sistema che apprende, anticipa, decide. Jacopo Paoletti, nel suo "AI Economy" (Franco Angeli, 364 pagine, 36 euro), ci conduce esattamente in quel punto di svolta, dove l'intelligenza artificiale non è più uno strumento ma un attore protagonista della scena economica globale.
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Il libro si presenta non un manuale tecnico, né un pamphlet apocalittico, ma una riflessione approfondita su ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi mentre continuiamo a misurare il mondo con categorie novecentesche. Paoletti parte da una premessa radicale: l'IA sta diventando per il capitalismo contemporaneo ciò che l'elettricità fu per quello industriale. Un'infrastruttura invisibile che riorganizza tutto ciò che tocca, modificando non solo i processi produttivi ma la natura stessa del valore, del lavoro, del desiderio. La struttura del volume riflette la complessità sistemica. Dalle fondamenta teoriche dell'intelligenza artificiale agli impatti macroeconomici, dai cambiamenti nelle singole funzioni aziendali alle trasformazioni settoriali, fino alle sfide etiche e alle prospettive future. Ogni capitolo è arricchito da interventi di imprenditori, manager, accademici ed esperti che aggiungono prospettive concrete a un discorso che rischia sempre di perdersi nell'astrazione.
Uno degli elementi distintivi del volume è proprio questa polifonia di voci. Paoletti ha convocato decine di esperti per offrire sguardi complementari sui diversi aspetti della rivoluzione algoritmica. Tra i contributi più rilevanti spiccano quelli di Stefano Quintarelli nella prefazione, che mette in guardia sui rischi della colonizzazione digitale europea, e di Oreste Pollicino nella postfazione. Sul fronte macroeconomico intervengono figure come Brunello Rosa sull'economia algoritmica e Marco Bentivogli sulla trasformazione del lavoro, mentre Guido Vetere affronta il tema cruciale delle disuguaglianze nell'accesso al potere computazionale. Nel campo dell'innovazione tecnologica troviamo le riflessioni di Giorgio Metta sulla ricerca guidata dall'IA e di Gregorio Piccoli sulle definizioni fondamentali dell'intelligenza artificiale. Contributi settoriali arrivano da esperti come Stefano Gatti per i servizi finanziari, Vincenzo Manzoni per la manifattura, Giacomo Grassi per la pubblica amministrazione e Daniele Stragapede per la sanità. Non mancano poi prospettive critiche come quelle di Monica Cerutti sull'etica algoritmica e di Cosimo Accoto sulle prospettive future. Questa coralità trasforma il libro in un osservatorio privilegiato dove teoria e pratica si intrecciano continuamente.
L'autore si muove tra registri diversi: dalla filosofia (Heidegger e Galimberti vengono citati per riflettere sul destino della tecnica) all'economia comportamentale, dalla teoria della complessità alle neuroscienze cognitive. Paoletti introduce concetti come "logosistemica economica", "giustizia computazionale", "relazione sintetica", "umano residuale" – categorie nuove per nominare fenomeni che la lingua fatica ancora a catturare.
Particolarmente illuminante è l'analisi di come l'IA stia trasformando ogni funzione aziendale: dal marketing predittivo che anticipa i desideri prima ancora che si manifestino, alla supply chain che diventa un organismo adattivo, dalla finanza che abbandona la previsione tradizionale per modelli probabilistici in tempo reale, fino alla funzione legale che si trasforma in "diritto automatizzato". Non si tratta di semplice automazione ma di qualcosa di più profondo: l'emergere di un'intelligenza distribuita che attraversa l'intera organizzazione.
Il merito principale del volume sta nell'evitare sia l'entusiasmo acritico sia il catastrofismo paralizzante. Paoletti ci mostra come l'IA non sia né salvifica né distruttiva per definizione, ma una forza che amplifica le scelte che facciamo. La questione centrale non è se l'IA sostituirà gli umani, ma quali umani vogliamo essere in un'economia dove le decisioni vengono prese da sistemi che operano su dati che nessuno può più interpretare direttamente.
Emerge anche una riflessione geopolitica importante: mentre gli Stati Uniti e la Cina competono per l'egemonia algoritmica, l'Europa rischia di rimanere schiacciata tra deregolamentazione americana e controllo statale cinese. La prefazione di Stefano Quintarelli sottolinea proprio questo: l'Italia e l'Europa hanno competenze eccellenti ma mancano di visione strategica e investimenti coordinati. Il rischio è che il nostro capitale umano venga "reclutato altrove" mentre noi importiamo tecnologie che altri hanno progettato secondo i loro valori.
Se c'è un limite, è forse nell'ampiezza stessa del progetto. Il tentativo di abbracciare simultaneamente teoria economica, filosofia, casi d'uso aziendali, analisi settoriali ed etica rischia talvolta di generare una frammentazione dove ogni tema meriterebbe maggiore approfondimento. Ma è un limite consapevole: questo libro non vuole essere un trattato definitivo ma una mappa per orientarsi in un territorio in rapida evoluzione.
"AI Economy" si propone dichiaratamente come un classico futuro. In un momento storico in cui il dibattito sull'intelligenza artificiale oscilla tra hype tecnologico e paure irrazionali, questo volume offre quella che più manca: una riflessione seria, interdisciplinare, capace di tenere insieme dimensione tecnica, economica, filosofica e sociale. Un testo essenziale per chiunque voglia comprendere non solo ciò che l'IA può fare, ma ciò che noi possiamo diventare nell'era degli algoritmi intelligenti.
La vera domanda che Paoletti ci lascia non è "cosa farà l'IA?" ma "cosa vogliamo fare noi con l'IA?". Perché forse, come scrive nella chiusura, la vera intelligenza non sta nel dominio ma nella sintonia. E se riusciremo a sintonizzarci sul ritmo di questa nuova economia, potremo non solo comprenderla ma anche orientarla verso un futuro più umano.