Gli anziani, soprattutto nelle Rsa, prendono ancora troppi farmaci, con elevati rischi legati all'interferenza tra due o più di essi, ma anche all'efficacia e alla sicurezza della terapia orale per la prassi diffusa di alterare pillole per facilitarne la somministrazione a chi ha difficoltà a deglutire, molto frequente nelle strutture assistenziali.
Gli anziani nelle Rsa e i farmaci: lo studio -
"Nelle Rsa ogni anziano assume in media circa otto farmaci al giorno, che espongono il 42% degli assistiti ad almeno un'interazione pericolosa, con casi che arrivano fino a sette interferenze contemporanee. Ma rischi rilevanti derivano anche dalla pratica di manipolazione dei farmaci da assumere per bocca, soprattutto pillole" dichiarano Dario Leosco, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) e ordinario di Geriatria all'Università Federico II di Napoli, e Andrea Ungar, ideatore dello studio e ordinario di Geriatria all'Università di Firenze", spiegando che "sono infatti, circa 17mila quelle assunte ogni giorno dagli anziani nelle Rsa italiane considerate, su un totale di circa 24mila prescrizioni: per la precisione, 15.927 sono compresse e 850 capsule. Tuttavia, le dimensioni delle pillole possono rappresentare un problema per chi ha difficoltà a deglutire, di conseguenza, nelle Rsa una compressa su tre viene divisa o triturata, mentre poco più di una capsula su quattro viene aperta e 'camuffata' con cibi e bevande". "Soluzioni semplici ma non sempre appropriate nel 13% dei casi: rispettivamente nel 5% di tutte le compresse somministrate e nell'8% di tutte le capsule somministrate, con rischi di inefficacia e sicurezza dei farmaci" proseguono i medici, evidenziando che "sono questi i risultati preliminari, appena pubblicati sulla rivista Aging Clinical and Experimental Research, della prima indagine nazionale svolta nelle Rsa per valutare l'appropriatezza e i rischi del modello di prescrizione dei farmaci e della loro forma di somministrazione".
Lo studio ha coinvolto 3400 anziani residenti in 82 strutture di 12 regioni italiane rappresentative di tutto il territorio nazionale ed è stato condotto dalla SIGG in collaborazione con la Fondazione ANASTE Humanitas, che ha scattato una fotografia puntuale durante il Prescription Day 2024. "La gestione del farmaco è un processo complesso, che diventa cruciale soprattutto nelle Rsa dove gli ospiti sono generalmente più anziani, più fragili e con più malattie croniche, rispetto agli anziani che non vivono in comunità, come mostrano i primi risultati dell'indagine. Infatti, l'età media è di 85 anni, 70% donne, e la quasi totalità convive con quattro o cinque malattie croniche, con diagnosi di demenza in oltre la metà degli ospiti che in molti casi dipendono dall'assistenza per la maggior parte della vita quotidiana" riferisce Alba Malara, Presidente Fondazione ANASTE Humanitas, evidenziando che "questo contesto di complessità clinica comporta l'assunzione di una media di circa otto farmaci al giorno, spesso con una pluralità di somministrazioni quotidiane, fino a quattro-cinque volte".
"Su un totale di circa 24mila prescrizioni, quasi 17mila sono pillole, con ricorso prevalente a farmaci cardiovascolari, psicofarmaci e gastroprotettori. Tale elevata esposizione farmacologica determina il rischio di almeno un'interazione pericolosa tra due o più farmaci, nel 42% degli anziani. La più diffusa risulta quella derivante dalla combinazione di più psicofarmaci, che può aumentare il pericolo di cadute e peggiorare lo stato cognitivo, specialmente nei pazienti con demenza", evidenzia Malara.
Il ruolo del geriatra -
Tra i risultati di maggiore interesse, emerge il ruolo del geriatra all'interno delle strutture residenziali: l'analisi dei dati dimostra che se questa figura è presente nelle Rsa, si determina una riduzione significativa, tra il 24 e il 37%, delle interazioni tra farmaci. Ciò evidenzia l'importanza della competenza geriatrica non solo nella valutazione clinica, ma anche nella gestione appropriata e personalizzata delle terapie. L'aspetto più rilevante emerso dalla ricerca riguarda la manipolazione dei farmaci da assumere per bocca.
La pratica di alterazione dei farmaci -
"Nel contesto delle Rsa si verificano di frequente situazioni particolari nelle quali non è possibile somministrare pillole perché spesso i pazienti possono avere problemi di disfagia e di alimentazione enterale o difficoltà a ingoiare per via dei disturbi psico-comportamentali. Ciò comporta la necessità di alterare i farmaci, prassi largamente diffusa non solo nelle Rsa, ma anche tra gli anziani che non vivono in comunità, con implicazioni di grande rilievo se non appropriata", sottolinea Malara.
"I dati preliminari del nostro lavoro hanno infatti rilevato che una compressa su tre viene tritata o spezzata e circa la metà delle capsule (pillole con rivestimento) viene aperta e mescolata a cibi e bevande, per facilitare la deglutizione nei pazienti con difficoltà a ingoiare - osserva Malara -. Ma nel 13% dei casi le manipolazioni non sono certamente appropriate, rispettivamente nel 5% di tutte le compresse e nell'8% di tutte le capsule somministrate". "Tra i farmaci che non possono essere manipolati, ma che più frequentemente sono invece alterati, ci sono ad esempio l'antipsicotico quietapina, il pantoprazolo usato contro il reflusso gastroesofageo o la semplice aspirina - spiega Malara -. Ma anche l'antidepressivo trazodone e gli antipertensivi bisoprololo e ramipril".
Perché è un errore manipolarli? -
Alterare la formulazione dei farmaci può incidere sulla loro efficacia, determinando fenomeni di sovradosaggio o sottodosaggio o anche aumentarne la tossicità, con effetti irritanti sulla mucosa del tubo digerente oltreché peggiorare l'aderenza del paziente alla terapia per via del gusto sgradevole che il farmaco assume una volta frammentato o spezzato.
"Sbriciolare, dividere o aprire una pillola può comportare il rischio di perdere parte del principio attivo e, di conseguenza, della dose terapeutica e dell'efficacia. Non devono mai essere aperte le capsule gastroresistenti perché alterarle comporta la rimozione del rivestimento, progettato per mantenere il farmaco intatto, finché non passa attraverso lo stomaco e raggiunge l'intestino, con potenziali effetti lesivi tossici oltre che diminuzione dei benefici. Anche le pillole a rilascio lento o controllato non devono essere spezzate né frantumante, perché formulate in modo da mantenere un livello costante di principio attivo per 8, 12, o 24 ore e influenzare la velocità di assorbimento del farmaco può comportare effetti tossici", evidenzia Malara.
"Inoltre, la triturazione crea un potenziale pericolo anche per la salute degli infermieri - prosegue -, in quanto la frantumazione e la movimentazione delle polveri senza protezione di guanti o maschera, li espone al rischio di allergie e intossicazioni da contatto e inalazione, in particolare con farmaci citotossici". Altrettanto rischiosa può essere la pratica di camuffare i farmaci in cibi e bevande. "Somministrare farmaci con alcune bevande e cibi può influenzarne l'assorbimento e il metabolismo, renderlo inefficace e potenziarne la tossicità", sottolinea Malara. "La nostra indagine ha evidenziato che le raccomandazioni già esistenti per la gestione della terapia orale, cioè le attuali 'Do not crush list' disponibili, non sono univoche né aggiornate", evidenzia Andrea Ungar. "Questa lacuna apre la strada alla necessità di sviluppare riferimenti aggiornati e riconosciuti a livello nazionale, capaci di guidare le decisioni cliniche e ridurre il rischio di errori connessi alla manipolazione inappropriata", conclude Dario Leosco.