un lutto spesso invisibile

Perdita fetale, perché il dramma di Raffaella Fico è anche una sofferenza condivisa

Perdere un bambino al quinto mese di gravidanza riporta l’attenzione su un lutto spesso invisibile, sospeso tra silenzio sociale e bisogno di riconoscimento

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La perdita di un bambino durante una gravidanza avanzata è un’esperienza che segna profondamente la vita di una donna. Il racconto condiviso da Raffaella Fico e il suo compagno sulla morte del figlio al quinto mese fa riflettere su una realtà che, pur colpendo molte famiglie, resta spesso taciuta: la perdita fetale tardiva o morte fetale endouterina. E nonostante i numeri parlino di un vero e proprio lutto da elaborare, a differenza di altri eventi perinatali, spesso viene minimizzata anche in ambito sociale e lavorativo, lasciando le donne sole nella gestione del dolore.

Cos'è la perdita fetale - Dal punto di vista medico, un evento che si verifica nel secondo trimestre non viene classificato come aborto spontaneo in senso stretto, ma come perdita fetale tardiva, un termine clinico che indica la morte del feto durante la gravidanza avanzata e richiede un approccio sanitario e psicologico articolato. Secondo i dati sanitari italiani, le gravidanze si concludono con aborti spontanei nella percentuale del 19-21% circa nel complesso delle gravidanze monitorate dalle strutture sanitarie, con variazioni legate a diverse tecniche di concepimento o condizioni cliniche specifiche. In questi dati, fonte minstero della Salute, gli aborti spontanei sono registrati come perdita di gravidanza prima della 22esima settimana di gestazione, mentre oltre questo limite si parla di morte fetale endouterina.

I numeri in Italia e le prospettive - In Italia il tasso di morte fetale tardiva (stillbirth) è di circa 2,6–2,8 casi ogni 1.000 nascite, un dato leggermente inferiore alla media europea. Secondo i sistemi di sorveglianza perinatale coordinati dall’Istituto Superiore di Sanità, ogni anno si registrano diverse centinaia di morti fetali in utero oltre la soglia delle 22–24 settimane di gestazione. Le perdite fetali nel secondo e terzo trimestre rappresentano una quota minoritaria rispetto agli aborti spontanei precoci, ma hanno un impatto clinico ed emotivo particolarmente rilevante. Le cause più frequentemente associate includono complicanze placentari, anomalie congenite, infezioni, patologie materne e, in una percentuale significativa di casi, cause non identificabili. Dal punto di vista sanitario, una perdita fetale non compromette automaticamente la possibilità di una futura gravidanza. Gli esperti sottolineano che, nella maggior parte dei casi, con adeguato monitoraggio medico, è possibile affrontare una nuova gestazione in sicurezza. Ma serve  un percorso di assistenza sanitaria e psicologica che non si limiti alla gestione clinica dell’evento: oltre all'indagare su eventuali fattori di rischio è necessario un supporto psicologico per affrontare le conseguenze emotive. Secondo studi clinici, fino a una donna su tre può sviluppare sintomi di ansia o depressione dopo la perdita di una gravidanza, soprattutto quando questa avviene in stadi avanzati.

Il peso del silenzio - Il senso di vuoto, di colpa e l’isolamento sono reazioni frequenti, nella misura in cui non esiste una narrazione condivisa e riconosciuta pubblicamente. La testimonianza di una figura pubblica come Raffaella Fico contribuisce a rompere questo silenzio, rendendo visibile una sofferenza che accomuna donne di ogni età e condizione sociale. Non è solo una storia personale, ma l’occasione per accendere un faro su una realtà sanitaria ed emotiva che merita ascolto, rispetto e consapevolezza. Anche quando una vita si interrompe prima della nascita, il lutto esiste e ha bisogno di essere riconosciuto.