il rapporto Agenas

I 15 ospedali top d'Italia: le eccellenze concentrate al Nord, solo uno al Sud

Il report fotografa le  performance di 1.117 strutture: quasi 200 ospedali "rimandati" con criticità soprattutto su parto e cardiologia

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La sanità italiana ha le sue punte di diamante, ma la strada verso l'eccellenza diffusa resta ancora lunga. Il Programma Nazionale Esiti dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) ha messo sotto la lente d'ingrandimento 1.117 strutture ospedaliere pubbliche e private, valutandole su otto aree cruciali della medicina: dall'oncologia alla cardiochirurgia, dalla gestione di gravidanza e parto agli interventi per fratture del femore.

Sono appena 15 gli ospedali che raggiungono l'eccellenza rispettando tutti gli standard fissati dalla legge nel 2015 e dimostrando performance buone oppure ottime in tutte le aree monitorate. Un'élite ristretta che certifica, ancora una volta, il divario profondo tra Nord e Sud del Paese.

Il gap geografico che persiste -

La geografia dell'eccellenza sanitaria italiana traccia confini netti. Dei 15 ospedali "top", ben 14 si trovano al Centro-Nord. La Lombardia guida la classifica con cinque strutture d'eccellenza, seguita dal Veneto con tre centri. L'Emilia-Romagna ne conta due, mentre Toscana, Marche e Umbria contribuiscono ciascuna con un ospedale. Al Sud, l'unica eccellenza riconosciuta è l'Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli in Campania. Un dato che diventa ancora più significativo se si considerano le 117 strutture valutate su tutte le otto aree previste: soltanto due raggiungono livelli "alto" o "molto alto" in ogni ambito.

I "rimandati": 198 ospedali da migliorare  Sul fronte opposto, emerge un'Italia sanitaria che fatica a tenere il passo. Ben 198 ospedali (il 22% delle 871 strutture sottoposte al meccanismo di analisi definito "treemap") presentano complessivamente 333 punti critici e dovrebbero essere sottoposti ad audit volontari per il miglioramento.

Le criticità si concentrano principalmente in due ambiti: la gestione di gravidanza e parto, e l'area cardiocircolatoria. La distribuzione geografica dei centri da "verificare" evidenzia ancora una volta le difficoltà del Meridione: 51 ospedali in Campania, 43 in Sicilia, 19 in Puglia, 12 in Calabria necessitano di interventi migliorativi. Ma anche la locomotiva Lombardia non è immune da problemi, con 14 strutture segnalate.

Le aree di valutazione e le performance regionali -

  Nell'ambito cardiocircolatorio, valutato attraverso sette indicatori specifici, gli ospedali che raggiungono il massimo dei punteggi si trovano prevalentemente in Lombardia, con due strutture di riferimento anche nel Lazio. Qui il sistema delle reti dell'emergenza cardiologica, con la suddivisione tra centri hub e spoke, ha consentito di concentrare la casistica degli infarti nelle strutture qualificate, riducendo del 21% gli episodi in dieci anni.

Per il sistema nervoso, analizzato con due indicatori specifici, la maggioranza delle strutture che eccellono su entrambi i parametri si trova al Centro-Nord. La chirurgia oncologica, esaminata attraverso sette indicatori, vede primeggiare soprattutto Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, ma registra eccellenze anche in Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania e Sicilia.

Gravidanza e parto: 53 eccellenze ma ancora troppi cesarei  L'ambito della gravidanza e del parto, valutato con quattro indicatori, conta 53 strutture che hanno raggiunto un livello "molto alto", concentrate in maggioranza al Nord. Eppure proprio quest'area presenta ombre profonde: l'Italia continua a registrare un tasso di parti cesarei nettamente superiore allo standard del 15% raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità.

I tagli cesarei sono scesi dal 25% del 2015 al 22% del 2024, una riduzione timida che lascia il Paese ben oltre i parametri internazionali. Le differenze territoriali sono marcate: al Meridione i valori mediani superano spesso il 25%, con punte del 30 e persino del 35%. Inoltre, diverse aree del Paese mantengono aperti punti nascita al di sotto dei 500 parti l'anno, nonostante la legge ne disponga la chiusura.

Ortopedia e chirurgia mininvasiva: i progressi tecnologici -

Nell'ambito osteomuscolare, analizzato con sei indicatori, delle 231 strutture che hanno raggiunto un livello "molto alto", 126 sono state valutate per almeno cinque parametri. Anche in questo caso, la concentrazione maggiore si registra al Nord.

Una nota positiva arriva dall'innovazione tecnologica: aumenta l'approccio mininvasivo in chirurgia, che espone i pazienti a minori complicanze come le infezioni. Anche la robotica trova sempre più spazio, soprattutto in ambito urologico, dove si superano percentuali dell'80% con il superamento dell'approccio chirurgico tradizionale "open".

Il bilancio del ministro Schillaci  "I dati confermano un principio fondamentale: quando il sistema opera con standard nazionali basati su riferimenti normativi precisi e con strumenti efficaci di monitoraggio, il sistema globalmente migliora", ha dichiarato il ministro della Salute Orazio Schillaci presentando i risultati. Il ministro ha evidenziato i progressi nell'oncologia: la chirurgia della mammella è passata dal 72% nel 2015 al 90% nel 2024, il tumore del polmone dal 69% all'83%, quello della prostata dal 63% all'82%.

"Sono stati garantiti maggiore qualità e sicurezza delle cure grazie alla concentrazione degli interventi a maggiore complessità in strutture qualificate", ha sottolineato Schillaci, riconoscendo però che "permane un significativo divario Nord-Sud" soprattutto per gli interventi oncologici complessi come il tumore del pancreas (solo il 28% in centri ad alto volume) e del retto.

Il nodo della governance e l'aggiornamento necessario -

  Giovanni Baglìo, direttore scientifico del Programma Nazionale Esiti, ha evidenziato che "il sistema è in grado di evolvere quando vi siano riferimenti chiari a livello nazionale e quando i sistemi di monitoraggio riescono a fotografare e sostenere il cambiamento". Il problema? Le soglie previste dal decreto ministeriale 70 del 2015 non sono state fissate per tutte le patologie e dopo dieci anni necessitano di aggiornamento.

Casi emblematici sono il tumore del retto, dove in assenza di soglie nazionali si registra addirittura un peggioramento (le strutture ad alto volume diminuiscono dal 30% al 22%), e il bypass aortocoronarico, dove si fatica a concentrare gli interventi per l'eccessivo numero di cardiochirurgie.

Il territorio: la frontiera ancora da esplorare -

Il monitoraggio della sanità territoriale resta ancora largamente incompleto. Agenas utilizza per ora indicatori indiretti come l'ospedalizzazione evitabile, gli esiti a lungo termine e gli accessi impropri in Pronto Soccorso. I dati mostrano che per lo scompenso cardiaco non c'è stato miglioramento e persiste un'ampia variabilità territoriale. Ancora più eclatante la situazione del diabete: il tasso di ospedalizzazione per complicanze come l'amputazione degli arti risulta ancora doppio rispetto alla mediana nazionale.

La prossima sfida sarà verificare l'attuazione del decreto ministeriale 77 del 2022 che, in applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha riscritto l'organizzazione delle cure primarie. Un'area ancora in gran parte da esplorare, ma cruciale per ridurre il gap tra territori e garantire cure appropriate ed efficaci in tutta Italia.