OPERAZIONE ANTIMAFIA

Palermo, fermato esponente Radicali Italiani: faceva da messaggero per i boss e definiva Messina Denaro "il mio premier"

Cinque persone sono finite in manette in un'operazione antimafia che ha colpito il clan di Sciacca. Antonello Nicosia da anni era impegnato in battaglie per i diritti dei detenuti

La Procura di Palermo ha fermato 5 persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa e favoreggiamento. Tra i fermati ci sono il capomafia di Sciacca Accursio Dimino e Antonello Nicosia, membro del comitato nazionale dei Radicali Italiani. Secondo la Procura Nicosia avrebbe fatto da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, portando all'esterno messaggi e ordini. Definiva il boss Messina Denaro "il mio premier".

I cinque fermati dalla Dda sono Accursio Dimino, Antonello Nicosia, Paolo Ciaccio, Luigi Ciaccio e Massimiliano Mandracchia. I primi due sono accusati di associazione mafiosa, gli altri di favoreggiamento.  Nel corso degli accertamenti è stato trovato il tesserino da collaboratore parlamentare di Nicosia, assistente della deputata Occhionero. L'uomo, infatti, entrava in carcere insieme alla parlamentare, incontrava boss e portava all'esterno i loro messaggi. Durante la perquisizione sono stati sequestrati inoltre una carta di credito collegata a conti esteri e patrimoniali. 

"Il mio premier" - Non sapendo di essere intercettato, Antonello Nicosia parlava del boss di Cosa nostra come del suo premier. Al telefono discuteva infatti animatamente del padrino di Castelvetrano. E invitava il suo interlocutore a parlare con cautela di Messina Denaro. "Non devi parlare a matula (a vanvera, ndr)", diceva.

Nelle stesse intercettazioni Nicosia rivolgeva insulti pesantissimi a Giovanni Falcone, la cui morte viene definita "incidente sul lavoro" e che "da quando era andato al ministero della Giustizia più che il magistrato faceva il politico".

Pm: "Nicosia pienamente inserito nel clan" - Nicosia si sarebbe speso per aiutare detenuti del calibro di Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro, detenuto a Tolmezzo al 41bis. Sfruttando infatti la possibilità che aveva di accedere nelle carceri (evitando la preventiva autorizzazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e sfruttando le prerogative riconosciute ai membri del Parlamento e ai loro accompagnatori), si sarebbe offerto di portare messaggi tra mafiosi liberi e boss detenuti. Nicosia ha potuto partecipare in questo modo a ispezioni nelle carceri di Sciacca, Agrigento e Trapani.

Collaboratore della parlamentare Occhionero -  La parlamentare al cui seguito Nicosia è entrato in istituti di pena, anche di alta sicurezza, è Giuseppina Occhionero, 41 anni, molisana. La Occhionero, avvocato, è stata eletta alle ultime elezioni politiche nelle liste di Leu ed è recentemente passata a Italia Viva, il partito di Renzi. La deputata, non indagata, sarà sentita dai pm di Palermo come testimone. Nicosia, secondo i magistrati, non si sarebbe limitato a fare da tramite tra i detenuti e le cosche, ma avrebbe gestito business in società col boss di Sciacca Dimino, con cui si incontrava abitualmente, fatto affari coi clan americani e riciclato denaro sporco. Da alcune intercettazioni emergerebbero anche progetti di omicidi.

Accursio Dimino fedelissimo di Messina Denaro - Ma oltre a Nicosia è finito in cella anche Accursio Dimino. Scarcerato nel 2016 dopo due condanne per associazione mafiosa interamente scontate, appena uscito di galera era tornato al suo posto al vertice della famiglia mafiosa di Sciacca. Boss di "fede" corleonese, 61 anni, è un amico fedele della famiglia del latitante Matteo Messina Denaro. Appena lasciata la cella è tornato a essere pedinato e intercettato dalle forze dell'ordine che, in tre anni di indagine, hanno accertato come non avesse perso nulla del suo ruolo di capo. 

Nel 1996 è stato condannato a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa, detenzione illecita di armi e danneggiamento. Prima di essere arrestato, insieme ai fratelli gestiva un'attività di commercio di prodotti ittici e faceva il docente di educazione fisica in diversi istituti scolastici statali. Nel 2010 è stato condannato dal gup di Palermo ad 11 anni e 8 mesi di reclusione e sempre nel 2010 la Dia gli ha sequestrato beni per oltre un milione.

Scarcerato il 12 aprile 2004 e ritornato a Sciacca, Dimino, secondo gli inquirenti, aveva ripreso i suoi contatti con i boss. Il 4 luglio 2008 è finito di nuovo in cella, nell'ambito dell'operazione "Scacco matto", sempre con l'accusa di associazione mafiosa finalizzata ad acquisire la diretta gestione di attività economiche ed appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, il controllo della fornitura di calcestruzzo, automezzi e manodopera specializzata. Nell'indagine sono emersi scambi di pizzini tra Dimino e Messina Denaro.